Coronavirus: burocrazia e cittadini

Non è giusto che il conto di questo disastro venga pagato dalle vittime incolpevoli di questa tragedia planetaria.

Che sia stato generato dal passaggio dal pipistrello all’uomo, scappato per errore dal laboratorio di Wuhan o – come sostengono i complottisti- usato come arma biologica, il Coronavirus è nato in Cina e si è poi propagato in ogni angolo del pianeta.

Non risulta che l’OMS o la Comunità Internazionale abbiano attivato azioni di protesta nei confronti del regime cinese, nonostante la presenza di accordi e protocolli internazionali che prevedevano la comunicazione immediata ai Governi mondiali dell’avvenuto contagio, della virosi in atto e delle misure atte al suo contenimento. Nelle comparizioni televisive del Presidente del Consiglio o dei Ministri e sottosegretari- cioè degli organi politici preposti a farlo- non risulta che sia stata espressa pubblicamente la minima rimostranza per gli undici (e forse più) gg di ritardo che la Cina si è presa per comunicare al mondo la genesi del virus e i pericoli del contagio. In Parlamento nessun dibattito su questo aspetto fondamentale della responsabilità oggettiva della pandemia è stato affrontato a fondo, ne’ risulta  che lo abbiano fatto l’OMS, l’Europa, l’ONU, le istituzioni governative e di controllo a livello mondiale. 

Fatta eccezione per alcuni attacchi di Trump, l’iniziativa dell’Europa tramite la piattaforma EuVsDisinfo (come evidenziato da Paolo Mieli sul Corriere della Sera del 27/4 u.s.) e, per quanto riferito dalla cronaca, la curiosa, isolata denuncia di un coraggioso albergatore di Cortina che – mettendoci la faccia – ha proposto questo tema, che poi è l’incipit di tutti i guai gettando nello scompiglio e nella disperazione la vita dei cittadini.

Per sere e sere i programmi TV sono stati giustamente monopolizzati da questo tema: ricordiamo le prime valutazioni (poco più di una influenza) fino all’ammissione del disastro globale: “nulla sarà più come prima”.

Esperti e scienziati si sono alternati nel cercare spiegazioni, ipotizzare terapie, profilassi, dare raccomandazioni igienico sanitarie, consigli, suggerimenti, con grande, meritevole abnegazione. 

Salvo fisiologici casi di intemperanze i cittadini hanno dimostrato di aver capito la gravità della situazione e la maggior parte di essi si è diligentemente chiusa in casa, pensiamo alla sofferenza emotiva e psicologica della clausura coatta, al pericolo del contagio, alle varie forme di solitudine, al radicale cambiamento di stili di vita, alimentari, di rituali giornalieri abitudinari.

Il popolo in larga parte ha compreso e ubbidito. Anche chi è stato costretto alla chiusura dell’azienda, del negozio, dell’impresa, del ristorante, della palestra, di ogni tipo di attività che comportasse pericolo di contagio. Perdendo fatturato, lavoro, ordini, commesse, bloccando la produzione con i dipendenti in cassa integrazione e le partite Iva in attesa di un sussidio di sopravvivenza.

La gestione dell’emergenza ha generato contraddizioni e sovrapposizioni se non conflitti di competenze tra i soggetti istituzionali, ai quali si sono aggiunti commissioni, task force, tavoli di concertazione e in ultimo l’organismo con compiti di supervisione e coordinamento: qualcuno si è chiesto se in un Paese democratico e con istituzioni ampiamente rappresentative non sia sufficiente un Governo per governare ma sia necessario disporre di un supplente a latere. Troppe sedi decisionali: ordini, veti, divieti, obblighi, contrordini, sanzioni, multe, denunce penali, 5 o 6 modelli di autocertificazione per uscire di casa, un metro, un metro e mezzo, due metri di distanza, le mascherine utili e quelle farlocche, con relativa speculazione sui costi al consumo.  I Governatori hanno in pratica modificato le disposizioni emanate su scala nazionale, forse per sincera preoccupazione rispetto ad evidenze logisticamente più visibili, altre volte per il coacervo incomprensibile di una normativa centrale che ha suscitato spesso sconcerto e confusione. L’incertezza di agire secondo istruzioni ricevute, la divisione del Paese in contesti decisionali regionali, i nuovi confini per zone di diverso rischio: il vero pericolo a livello istituzionale è parsa l’incapacità di imboccare una strada con decisione o il pentimento di averlo fatto troppo in fretta. Una gestione acefala o multicefala, che ha comportato conflitti e malcelate insicurezze sociali, che genera sconforto e depressione, incrementando la sensazione di sentirsi soli e di non farcela più: mentre dai palazzi si ostenta una “potenza di fuoco” che si polverizza in una moltitudine di monadi isolate con il cerino in mano. La burocrazia – questa cancrena tutta italiana che si contende con l’evasione fiscale il primato del male assoluto del Paese –  l’origine di tutte le disfunzioni, le disparità di trattamento, lo sconcerto e la paura dei cittadini di essere sanzionati per uno starnuto fuori posto, per essersi appoggiati ad una panchina perché esausti dalla fila al supermercato o al banco dei pegni, ma anche le lungaggini per ottenere i finanziamenti per ripartire, i moduli da compilare per ottenerli, le difficoltà di produrre mascherine per riconversione aziendale, le start up bloccate dai timbri e dai bolli, la diffidenza delle banche, l’assenza di uno Stato unitario e risoluto.

Di uno Stato che rappresenti la Nazione e non la consideri una entità da punire con la complicazione di procedure farraginose e la polverizzazione dell’autorità centrale nella discrezionalità degli apparati più periferici dalla pubblica amministrazione. Fino ai paradossi offensivi del buon senso comune della sensibilità umana che si esprime attraverso la comprensione, se necessario, prima ancora che con la sanzione. Disposizioni calate dall’alto e in contraddizione tra diverse fonti di promanazione e incertezza nella loro esecuzione: se l’autocertificazione prevede la voce “situazioni di necessità” si crea una sorta di limbo dove il termine ‘necessario’ è devoluto alla valutazione discrezionale di chi ne accerta la sussistenza.

Multe e sanzioni cadute a pioggia, molto spesso per negligenza o leggerezza dei cittadini, altre per eccesso di zelo dei controllori. Stampa e TV hanno riportato episodi significativi, come i due genitori inizialmente multati perché tornavano dall’ospedale dove avevano portato la figlia per un controllo post trapianto. 

Aprendo il sito della Prefettura della mia città leggo un perentorio: “Non si rilasciano autorizzazioni per spostamenti” e mi domando: a chi deve rivolgersi un cittadino per essere autorizzato ad uno spostamento necessitato da circostanze oggettive ma non sempre previste dal protocollo e giustificate da chi effettua i controlli? Sanzionare le negligenze è doveroso ma punire situazioni di bisogno che sono parte della nostra vita mi sembra ingiusto. E il “faccia ricorso” non mi pare ne’ l’esercizio di un potere legittimo ne’ un atto di comprensione e di buon senso: burocrazia che genera burocrazia e sfiducia nelle istituzioni, i cittadini lasciati soli a confidare nell’umanità e nella sensibilità di chi applica norme sibilline.

Ma ritorniamo al punto d’inizio di questa riflessione. Non è giusto che il conto di questo disastro venga pagato dalle vittime incolpevoli di questa tragedia planetaria.

Il nostro “Presidente-avvocato di tutti gli italiani” prenda contatto con i suoi omologhi , a cominciare da quelli dell’U.E. e valuti se non è il caso di promuovere una azione risarcitoria da parte di tutti i Paesi vittime di una pandemia che ha un luogo e un nome e forse responsabilità da accertare pubblicamente- comunque- in nome di giustizia e verità.