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martedì, Aprile 29, 2025
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Correnti dc e crisi dei partiti attuali: una eredità democratica scomoda

Certo, quei partiti e quel modello organizzativo sono consegnati alla storia politica del Paese. Tuttavia, la democrazia all’interno di un partito o esiste o non esiste. Tertium non datur.

C’è poco da fare. Al di là e al di fuori di qualsiasi invenzione – sempre legittima e necessaria – non c’è ancora, a tutt’oggi, una reale alternativa democratica alle correnti organizzate all’interno di un partito. E parlo, nello specifico, della storica esperienza delle correnti del partito della Democrazia Cristiana. Una modalità concreta che faceva sempre emergere tre caratteristiche di fondo. Ovvero un partito con una forte e marcata democrazia interna; un partito che riconosceva plasticamente il pluralismo culturale e, in ultimo, un partito che individuava nelle correnti strumenti capaci di rappresentare pezzi di società che poi si confrontavano – democraticamente – all’interno del partito stesso. Insomma, un modello autenticamente democratico alternativo ai partiti personali, distinto dal centralismo democratico di comunista memoria in salsa contemporanea e realmente capace di esaltare la politica attraverso il confronto tra sensibilità culturali e sociali diverse. Un modello – politico ed organizzativo – riconducibile alla cinquantennale esperienza della Democrazia Cristiana. 

Certo, una esperienza attraversata da alti e bassi ma, comunque sia, ispirata ad un chiaro e trasparente modello democratico, partecipativo e collegiale. E, a tutt’oggi, non esistono partiti che rispondono a quel modello e che, soprattutto, siano in grado di garantire sempre e comunque la democrazia interna. Per due ragioni di fondo. O perchè prevalgono i partiti scientificamente ed organicamente personali e del capo – modello Renzi e Italia Viva per capirci – o perché, e al contrario, sono partiti con gruppi, correnti e cordate al proprio interno che, però, prescindono quasi radicalmente dalla politica. Ovvero, non sono affatto rappresentativi di segmenti della società ma sono il prodotto concreto della vocazione di potere di un gruppo di persone che si distinguono dagli altri gruppi interni o in virtù delle tessere o del numero degli eletti in qualche realtà istituzionale o per altre motivazioni non ben definite e su cui è consigliabile il silenzio. Gruppi, correnti e cordate che, quindi, non hanno nulla a che fare con la rappresentanza politica, culturale e sociale di pezzi di società delle ormai storiche correnti democristiane.

Certo, si potrebbe tranquillamente sostenere che quel sistema politico, quei partiti e anche quel modello organizzativo sono consegnati alla storia politica del nostro paese. Osservazione giusta e sacrosanta. Ma il modello democratico all’interno dei partiti non ha una scadenza temporale né appartiene solo ad una precisa fase storica del nostro paese. Detto con altre parole, la democrazia all’interno di un partito o c’è o non c’è. Tertium non datur. E, come già diceva Carlo Donat-Cattin in tempi non sospetti – cioè alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso in un intervento memorabile al convegno della sinistra sociale di Forze Nuove a Saint-Vincent – “quando vuoi sapere cosa pensa un partito della riforma delle istituzioni è appena sufficiente verificare come quel partito pratica la democrazia al suo interno”. Una osservazione che conserva una straordinaria attualità anche nella stagione politica contemporanea. Anzi, soprattutto nella stagione politica attuale.

Ecco perché quando si parla di democrazia interna ai partiti – tassello, oggi, quantomai raro se non addirittura inesistente – il modello politico ed organizzativo della Democrazia Cristiana, attraverso le sue celebri e storiche correnti, resta quello più gettonato, trasparente e credibile. Al di là dello scorrere inesorabile del tempo, del tramonto dei partiti del passato, di quelle classi dirigenti e delle stesse culture politiche di riferimento. Perché al modello democratico e pluralistico, di norma, non c’è mai un’alternativa altrettanto democratica. Se non quella di un modello che, appunto, la nega alla radice o la nasconde dietro ad una parvenza di falso nuovismo o di grottesca e ridicola modernità.