Luiz Inácio Lula da Silva, l’ex Presidente della Repubblica brasiliana chiamato comunemente Lula, ha ottenuto dal giudice della corte suprema Edson Fachin la invalidazione per difetto di giurisdizione di ogni condanna che lo aveva privato dei suoi diritti politici. Il popolarissimo ed amatissimo Lula aveva subito nel 2018 la condanna dopo l’inchiesta, cosiddetta ‘lava jato’, aperta dal giudice Sergio Moro.
L’azione penale gli ha già procurato 580 giorni di galera, oltre al dubito di partecipare alla competizione elettorale per la elezione del Presidente della Repubblica di più di due anni fa. Ogni sondaggio, in quel momento, lo dava più che favorito. Infatti, tolto di mezzo Lula, la campagna elettorale per l’esponente della estrema destra populista Jair Bolsonaro è andata tutta in discesa, ponendo molti interrogativi sulla vera natura dell’iniziativa giudiziaria di Moro, il quale, forzando ogni consuetudine e procedura, ha gestito l’inchiesta come una occasione personale, scavalcando qualsiasi giurisdizione ed accentrando le operazioni di indagine come il dibattimento, presso la sua procura di Curitiba nello Stato del Parana’, pur non essendoci come sede giudiziaria competenza sul caso.
La pubblicizzazione, avvenuta tempo fa delle intercettazioni su Moro e i suoi collaboratori, ben chiariscono gli intenti persecutori e di complotto, come la nomina a ministro della giustizia avvenuta appena dopo l’inseduamento presidenziale di Bolsonaro dello stesso giudice, fanno ben intendere che buona parte dell’azione giudiziaria mirava ad azzoppare il candidato più popolare ed avvantaggiato della competizione elettorale. Stando a questi accadimenti e salvo altri colpi di teatro, l’anziano e carismatico leader del Partido Trabalhadores (PT), potrà partecipare alle prossime presidenziali che si terranno nel 2022, mentre i pronostici più accreditati già lo danno vincente su Bolsonaro, con più di 20 punti percentuali a suo favore.
Questi fatti, pur avvenuti a circa 9.000 kilometri dall’Italia, forniscono molti spunti di riflessione e vari interrogativi da approfondire, nel complesso utili anche per noi sopratutto per coloro che amano la democrazia e la giustizia. Infatti questi 2 pilastri di civiltà, dai democratici sono considerati principi e presupposti fondanti per le comunità civili. Sono infatti concepiti come poteri autonomi, e ciascuno di essi posti a garanzia e rispettosi dell’altro potere, secondo le rigide regolazioni delle leggi della Repubblica. Questi presupposti o sono davvero operanti e vigilati, oppure il controllo di ambedue le funzioni si spostano pericolosamente dal dominio collettivo a quello privato. Ora, quello che si può desumere dalla esperienza brasiliana, è che di fronte ad una acclarata forzatura delle procedure previste dalla legge, operata da un magistrato, la stessa magistratura ha provveduto a ripristinare il ‘Diritto’ persino arrivando ad indagare chi non ha agito nel rispetto della legge.
E Lula, nel pieno del ciclone giudiziario, quando è stato istigato dal suo vasto seguito di cittadini che manifestavano nelle piazze a rifiutarsi di consegnarsi alle autorità per l’arresto, si è responsabilmente costituito rispettando le leggi, pur chiedendo ai suoi sostenitori di continuare le proteste per denunciare l’esistenza di manovre volte a danneggiare la democrazia. Alcuni hanno raccontato che il giudice Moro, mentre si dava da fare per arrestare Lula, sulla propria scrivania aveva la foto del suo ex collega Di Pietro, per simboleggiare la sua vicinanza alla esperienza italiana di ‘mani pulite’.
Ma le due esperienze si sono ben presto dimostrate molto diverse tra loro. Ad esempio in Italia, istituzioni e potere collettivo non sono riusciti sempre a reagire in certi casi come è accaduto in Brasile. Infatti sono cresciuti molti movimenti populisti, proprio a causa di piazze che più che battersi per lo stato di diritto quando necessario, in più di un caso si sono espresse a favore di posizioni giustizialiste. La storia è maestra, in questi casi si sa già come può andare a finire.