Cosa ci tramandano il pensiero e l’opera di Luigi Sturzo?

Il popolarismo di Sturzo nasce dal basso, ovvero dell’attività amministrativa, dal contatto diretto con le lotte contadine, dalla difesa dei ceti medio-bassi. Propone un’idea di futuro, tanto del Paese quanto del mondo.

Le lezioni che il pensiero e l’opera di Sturzo ci tramandano sono tutt’altro che l’espressione di un passato che non c’è più: rappresentano una pietra miliare per l’impegno dei cattolici in politica, un cammino ancora incompleto sul quale abbiamo il compito di riflettere profondamente, per non disperdere il patrimonio di vita democratica che i cattolici italiani hanno contribuito ad edificare e per individuare un nuovo modo di fare politica, guidati da quella concezione cristiana dell’agire da cui nacque anche un senso profondo di europeismo.

Siamo alle porte dei più importanti avvenimenti politici del 2024, dalle elezioni europee alla nuova tornata di elezioni amministrative che interesserà diversi Comuni e Regioni chiamando milioni di cittadini alle urne. 

Non dimentichiamo, poi, che il 2024 è l’anno che il quotidiano britannico “The Guardian” ha definito il Super bowl della democrazia, con la metà della popolazione mondiale – si parla di circa 4 miliardi di persone – che andrà a votare in numerosi in numerosi Paesi. Ci sono Russia e Stati Uniti ma anche Bangladesh, Brasile, India, Indonesia, Messico, Pakistan, e in molte nazioni coinvolte il processo democratico sarà tutt’altro che libero e trasparente. Tutti saremo condizionati dai risultati elettorali, che potranno determinare un mondo più libero o, diversamente, un peggioramento delle democrazie.

In questo complesso scenario globale ricordare Don Luigi Sturzo significa ricordare che la politica non è ricerca di potere, ma servizio. Questo lo spinse ad andare controcorrente chiamando a raccolta tutti gli uomini liberi e forti per dare vita a un partito riformista composto da cattolici, non un partito cattolico; un partito di centro, una terza via oltre ogni forza conservatrice ed antidemocratica del fascismo, da non confondere con un progressismo quasi sinonimo di “modernismo”.  

Nel suo saggio Luigi Sturzo: un pensatore incompreso perché in anticipo sui tempi Stefano Zamagni afferma: “È accaduto così che se per il tradizionalismo cattolico del primo Novecento Sturzo è un inquietante progressista dal quale è bene prendere le distanze, per i cattolici dell’altra sponda, per i seguaci cioè di Romolo Murri, il sacerdote di Caltagirone è poco più che un conservatore illuminato. D’altro canto, fuori dal mondo cattolico, il pensiero sturziano è visto come un insignificante riformismo per il movimento socialista e come un pericolo incombente per il regime fascista – pericoloso a tal punto che Sturzo dovrà partire per l’esilio il 24 ottobre 1924 dapprima in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti”. 

Nel popolarismo di Don Luigi Sturzo convivono la dimensione religiosa, la necessaria ispirazione trascendente che garantisce il presupposto di una buona politica, perché garanzia dei diritti civili e delle libertà fondamentali, e la laicità che dà voce a credenti e non credenti che si riconoscono in un programma di cose da fare, ispirato ai valori di un umanesimo trascendente ma mediato in scelte laiche in vista del bene politico comune. Questo connubio è realizzato nella Costituzione repubblicana dove convivono i valori ispiratori – chiaramente laici – e i principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa quali il primato della persona, la solidarietà, la sussidiarietà, il bene comune. A me sembra che oggi, con un tessuto sociale sempre più frammentato e la Costituzione presa di mira da più parti, tutto ciò sia decisamente da recuperare.

Il popolarismo è poi territorialità, nella convinzione che la società viene prima dello Stato. Nel tentativo di combattere la concezione di uno Stato unitario accentrato, Sturzo si fa artefice di un riformismo coraggioso che mette al centro la persona e le cellule primarie della società – la famiglia prima di tutto, poi il Comune e così via – che, pur nella loro autonomia, agiscono in sussidiarietà in vista di un bene comune. Oggi, nell’era della globalizzazione, l’Italia si caratterizza per la ricchezza di una società civile ricca di associazioni, movimenti, reti sociali che rappresentano una straordinaria forza prepolitica capace di riaffermare ideali e valori e di tradurli in buone azioni. È, questo, un patrimonio da preservare e valorizzare in nome di una sussidiarietà in grado di contrastare il centralismo esasperato verso il quale sta andando il nostro Paese, mettendo a rischio la sopravvivenza dei corpi intermedi. 

Ed abbiamo il compito di preservare anche il senso di un’intuizione che non nasce da una elaborazione dottrinale formulata a tavolino, ma dalla consapevolezza della necessità di tradurre la fede e l’azione politica quotidiana nella concretezza storica dell’azione sociale. Il popolarismo di Sturzo nasce dal basso, ovvero dell’attività amministrativa, dal contatto diretto con le lotte contadine, dalla difesa dei ceti medio-bassi, ed è sostenuto da un programma concreto costruito sulla base di un’idea di futuro, del Paese e del mondo.

Attenzione alla politica interna, dunque, espressa ad esempio nella promozione per l’integrità della famiglia, nel voto alle donne, nell’assistenza e nella protezione dell’infanzia, nella soluzione del problema del mezzogiorno, al decentramento amministrativo e alla libertà d’insegnamento. 

C’è tanta attualità in questa visione. Penso, ad esempio, ad un ripensamento complessivo del sistema del welfare in un’ottica realmente sussidiaria che, a partire dai bisogni delle famiglie, sia capace di estendere le tutele essenziali a tutti i cittadini accompagnandoli nell’intero arco della vita; penso poi alla necessità di ricreare un’economia che guarda con maggiore attenzione ai territori,  a un sistema di lavoro che risponda alle aspirazioni e ai diritti delle persone, piuttosto che a logiche prettamente economiciste e a regole di mercato; penso alla difficoltà delle donne nel mondo del lavoro, alla disoccupazione giovanile o agli indicatori che vedono alcune regioni del Nord vicine all’Europa ed altre del Sud, anche se non tutte, sempre più distanti

Ecco, sì, dobbiamo pensare all’Europa. La prima parte dell’Appello di don Luigi Sturzo è evidentemente proiettata su un livello globale quando parla della necessità di evitare nuove guerre, della Società delle Nazioni, dei 14 punti di Wilson. Nelle sue parole c’è già la visione di un progetto di Europa Unita in nome della pace e dello sviluppo, come poi è avvenuto con la nascita dell’Unione europea. Purtroppo, è sotto gli occhi di tutti che negli anni gli stati piuttosto che camminare sulla strada dell’integrazione si sono indirizzati verso una maggiore autonomia, acuita dalla teorizzazione del sovranismo e dai nazionalismi. Ancora oggi, con l’aggravamento dei conflitti che si stanno drammaticamente susseguendo su scala mondiale, stiamo assistendo ad una risposta dell’Europa essenzialmente di natura economico-finanziaria, non politica. Di fronte alle numerose sfide che ormai sono di carattere internazionale – dall’immigrazione alla povertà, dal clima ai mercati alla finanza – i fondamenti del progetto Sturziano possono essere la base dalla quale i cattolici possono riprendere il cammino, promuovendo un’idea di Europa intesa non come una matrigna che nega la sovranità dei singoli Paesi, ma come una comunità coesa in cui le persone e le merci possono circolare liberamente garantendo il maggior benessere delle persone. 

Certo è che i cittadini devono assumersi la responsabilità di scegliere alle urne il destino dell’Europa, e non solo dell’Europa ovviamente. E certamente chi fa politica non si può “rassegnare” di fronte ad una crisi ormai strutturale, etica e culturale che ha portato al crollo dei grandi partiti del Novecento e al diffondersi allarmante di un populismo che, insieme all’antipolitica, sta mettendo in crisi gli organismi stessi della democrazia rappresentativa. Se l’elettorato è sempre più disorientato e spinto verso la disaffezione e al non voto, non è soltanto a causa dell’esasperazione sociale dovuta al perdurare della crisi economica, ma anche del fatto che la formazione politica è sempre più debole e spesso avulsa dalla storia. Torniamo a riflettere seriamente:  le libere elezioni di per sé non selezionano né tantomeno formano una classe politica competente, questo è compito dei partiti farlo.  

Infine, nonostante le difficoltà siano evidenti, sono convinta dell’urgenza di rigenerare una proposta condivisa che, superando ogni estremismo e radicalizzazione, si riposizioni al centro puntando sulla convergenza dei contenuti, prima che dei contenitori, unendo i percorsi e le persone che guardano ad un futuro fatto di democrazia, uguaglianza, cittadinanza, Europa. La stessa “rivoluzione” di papa Francesco richiama all’autenticità della fede ed apre orizzonti nuovi anche all’impegno sociale e politico dei cristiani, quando afferma che “la politica, tanto denigrata è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”,

Se è vero, come lo è, che la creatività è stato un elemento di forza dell’esperienza sturziana, allora la sua storia ci insegna che dobbiamo tornare ad essere creativi.

Il testo qui pubblicato ha fatto da traccia all’intervento di Donatella Porzio al convegno di Tempi Nuovi su “Luigi Sturzo tra progressisti e conservatori” svoltosi a Viterbo giovedì 18 gennaio u.s. Il video che riporta l’intero dibattito è disponibile sul canale su YouTube de “Il Domani d’Italia” (https://www.youtube.com/live/G4_jH5N7j_E?feature=shared)