Gualtieri ha dialogato con la Sindaca di Barcellona, giunta a Roma per dare una mano al centro sinistra. Non si è parlato di sistema elettorale. Invece l’esperienza spagnola può suggerire le soluzioni per strappare il Consiglio comunale a un destino di irrilevanza.
Nei giorni scorsi la Sindaca di Barcellona è venuta a Roma per dare il suo appoggio alla candidatura di Roberto Gualtieri. Questo legame con la capitale della Catalogna rappresenta una consuetudine per la sinistra romana. Anche nel 1993, in preparazione della sua campagna elettorale, Rutelli fece tappa da quelle parti per acquisire gli elementi più utili ai fini della formazione – così fu detto – di nuovi indirizzi e contenuti amministrativi per la Città Eterna. All’epoca il sindaco era Pasqual Maragall, carismatica figura del socialismo catalano. Oggi Ada Colau governa Barcellona con una formula ibrida, figlia in parte della stagione che ha visto il successo della sinistra antiglobalista, ma non più ben accetta dal gruppo consiliare espressione di Podemos, il partito nato sull’onda di quella stagione di entusiasmi e propositi radicali.
Il Pd avrebbe potuto, in ogni caso, attirare l’attenzione sulle differenze che intercorrono tra il sistema elettorale italiano e quello spagnolo relativamente alla elezione deiSindaci. Da noi, infatti, vige una regola che porta all’investitura popolare del Primocittadino, anche a prescindere dalla esistenza, in casi estremi, di una maggioranza a suo sostegno; in Spagna, invece, il sistema (proporzionale con sbarramento al 5 per cento) prevede che il Sindaco debba essere eletto in Consiglio comunale, anzitutto ricercando al suo interno la maggioranza assoluta, poi ripiegando sulla nomina d’ufficio del capolista della lista più votata, anche se ciò non si accompagna alla acquisizione del 50 più 1 per cento dei voti espressi in Consiglio. Ciò significa, in pratica, che il Sindaco assume l’incarico con la prospettiva di ricercare volta a volta l’appoggio di una maggioranza, anche flessibile. La stabilità è garantita, per quanto possibile, dall’obbligo di presentare con la sfiducia al Sindaco una proposta alternativa (il cosiddetto metodo della sfiducia costruttiva).
Ada Colau ha riconquistato nel 2019 il diritto a guidare la città grazie al contributo di Manuel Valls, l’ex Primo ministro francese, candidato a Sindaco in virtù specialmente delle sue origini catalane. In sostanza, tre voti di Ciudadanos, la metà di quelli che il partito liberal-democratico aveva guadagnato nelle elezioni municipali, hanno seguito l’indicazione di Valls (candidato appunto di tale partito). Questi si è dunque inserito nel gioco, dando alla Colau la spinta necessaria, senza per altro chiedere nulla in cambio, affinché attorno alla sua persona fosse raggiunta la maggioranza relativa. Da qui, tuttavia, la simmetrica apertura di un fronte polemico dal versante di sinistra della coalizione.
In effetti, la modalità di elezione prevista dal sistema spagnolo non implica la trasformazione del Sindaco in una sorta di Podestà. La governabilità non viene imposta, come se il premio di maggioranza (alle volte smisurato) valesse più di qualsiasi rispetto per il consenso reale dei cittadini, ma resa possibile dalla “contrattazione” che il Primocittadino ha la responsabilità di gestire in un sano, ancorché faticoso, rapporto con il Consiglio comunale. Ci sono motivi, insomma, per prendere spunto da Barcellona, ovvero dal modello elettorale municipale adottato nel 1985 dalla Spagna. Vale più questo, ai fini di un recupero di vivacità della democrazia locale, che non tante fantasmagorie nello scenario “alla Casaleggio” di una democrazia diretta e partecipata, come se gli esempi di Barcellona fossero davvero così originali e soprattutto così convincenti.