Molinari individua sette grandi sfide che si pongono nello scenario internazionale, in ognuna delle quali l’Italia può inserirsi come parte attiva, piuttosto che subirne passivamente le ricadute. Pubblichiamo per gentile concessione l’articolo che appare nell’edizione odierna del quotidiano ufficioso della Santa Sede.

Marco Bellizi

Quando si parla di campo di battaglia, l’espressione può essere intesa in due modi: come indicazione di semplice luogo fisico di scontri o come spazio ideale di confronti decisivi.

L’Italia si trova a scegliere fra queste due dimensioni. E Maurizio Molinari, direttore de «La Repubblica», scrittore, a lungo corrispondente da New York, poi da Bruxelles e Gerusalemme-Ramallah, già inviato in Medio Oriente, Africa e Turchia, nel suo ultimo libro, intitolato appunto «Il campo di battaglia. Perché il Grande Gioco passa per l’Italia» (La nave di Teseo editore, Milano 2021, pagine 261, euro 18), descrive le contingenze in virtù delle quali oggi il Belpaese è di fronte, oltre che a delle oggettive insidie, a opportunità imperdibili per riacquistare una centralità strategica persa ormai da decenni.

Molinari individua sette grandi sfide che si pongono nello scenario internazionale, in ognuna delle quali l’Italia può inserirsi come parte attiva, piuttosto che subirne passivamente le ricadute.

È anzi chiamata a farlo, prima di tutto perché Roma è un crocevia fondamentale per la ricostruzione dell’Europa post covid. La pandemia, ancora in corso, ha segnato infatti in maniera profonda il vecchio continente, in primo luogo sotto l’aspetto emotivo della tragedia consumatasi ai danni dei più fragili. «Migliaia di famiglie hanno avuto gli affetti più cari aggrediti, stravolti, stracciati, accumulando ferite profonde, che è responsabilità di tutti affrontare con serietà e rispetto», ricorda Molinari.

Lutti e sofferenze che appunto richiedono di essere onorati volgendo al positivo l’esperienza vissuta. Il Recovey Fund è una grande opportunità ma per realizzarla sarà necessario un salto, uno scatto di nervi della politica italiana che deve diventare più «competente» e «snella», scrive Molinari, perché resistenze e opportunismi sono sempre dietro l’angolo.

Prima di tutto, però, occorre sconfiggere definitivamente il virus. E le prossime pandemie, che molti esperti danno per molto probabili. Per il direttore di «Repubblica» serve un «New Deal sanitario», perché occorre prendere atto che la salute dei cittadini è ormai un tassello della sicurezza collettiva. Il tema si intreccia quello dei populismi, che in questi ultimi mesi hanno alimentato anche le proteste antisistema del variegato popolo dei no vax.

Ma soprattutto si intreccia con il tema delle migrazioni, che risulta politicamente divisivo tanto per l’Europa quanto per l’Italia, spesso lasciata sola dalle istituzioni comunitarie. Sul tema degli immigrati si giocano infatti partite politiche e strategiche importanti, che coinvolgono gli equilibri dell’intero Mediterraneo e i rapporti per esempio all’interno del variegato mondo dell’islam sunnita. «Se a prevalere sarà il seme dell’odio — è l’avvertenza di Molinari — perderemo l’occasione dell’Italia multietnica e resteremo una provincia insulare, ai margini delle sfide globali, mentre se ad imporsi sarà il seme della coesione l’incontro fra italiani per nascita e italiani per scelta promette di renderci competitivi su ogni fronte». È anche sulla nuova frontiera dei diritti che l’Italia gioca la sua partita: i diritti dei migranti come quelli dei lavoratori nell’era del lavoro 4.0, dello smartworking, dell’occupazione digitale, con i rischi legati al controllo delle comunicazioni, il 5 G in testa.

Secondo Molinari l’Italia deve scegliere, ma a suo parere la via più virtuosa e utile è già tracciata con evidenza dal convergere delle posizioni del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, con quelle del presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Draghi e di Keir Starmer, leader del partito laburista britannico. Una politica che punta sulla difesa dei valori tradizionali, dell’ambiente e della salute in grado di limitare le posizioni più estremiste, sfociate spesso in populismi e autocrazie.

Due missioni, in sintesi, per l’Italia vista da Molinari: essere protagonista della ricostruzione economico-sociale dell’Occidente all’interno dell’Ue e della difesa della Alleanza atlantica.