Costituzione, tasse e governi.

Costituzione, tasse e governi.

La politica fiscale ovvero la capacità di raccogliere risorse dai cittadini e dalle imprese è il fulcro di ogni politica di governo di qualsiasi Paese e dalla capacità di essere persuasiva ed anche convincente.

Quando si parla di tasse l’umore delle persone cambia. E non solo perché l’argomento è ostico e la tecnica l’ha reso anche ostile: è divenuto nell’immaginario collettivo un nemico e se non un nemico uno da cui è meglio stare alla larga.

Le tasse godono di cattiva fama poichè sono nate come un balzello imposto dal potere per ricavare ricchezze (disponibilità) da tutte le classi per fare guerre e/o mantenere gli agi della classe dirigente. Non una condivisione alla partecipazione con il contributo di tutti alle spese per il funzionamento della collettività (il popolo) ma il contributo di tutti per le spese di pochi.

Nella nostra Costituzione le tasse sono inserite nel principio generale della partecipazione di tutti i cittadini, secondo le proprie possibilità, alla gestione della spesa del Paese: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità” (art.53).

Articolo che fissa due principi: il siamo tenuti che è una forma elegante per non dire obbligati a… e la proporzionalità della contribuzione ovvero secondo le capacità di ciascuno.

Nel tempo da che è in vigore la Costituzione, siamo restii ad applicare questi due principi. Abbiamo un buon numero di evasori cioè di chi ritiene di “non essere tenuto a…” e la proporzionalità che è lasciata all’arbitrio della politica fiscale del governo di turno.

Al primo principio (obbligatorietà) una soluzione si è cercata di metterla con l’art.23 “ nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Un argine motivato da un sentimento di pessimismo dell’Assemblea costituente che avendo compreso che su base volontaria i cittadini giammai avrebbero pagato le tasse, ha messo l’obbligo dentro una legge, finendo così per far entrare dalla finestra il principio di imposizione alla contribuzione da parte di tutti che aveva scacciato dal portone. Bravi cittadini gli italiani ma poco propensi a partecipare di spontanea volontà e quindi meglio stringerli nelle maglie della legge finanziaria.

Quindi ogni governo quando presenta la propria politica fiscale andrebbe misurato sul rispetto di questi principi costituzionali.

Le misure fiscali presentate in questi giorni dal governo in carica, lato tasse per i cittadini, si presentano con una riduzione delle aliquote con cui viene fissata la parte del prelievo (contribuzione), sulla base di range di redditi annui dei cittadini, che va integrata con i dati statistici assoluti dei cittadini che si collocano in tre scaglioni;

 

Scaglioni di reddito in Euro Aliquota cittadini/contribuenti
da 0 a 28.000 23% circa 42 milioni  (12 milioni da 15 a 28 milioni di euro)
da 28.000,01 a 50.000 35% circa 6 milioni
oltre 50.000 43% circa 2 milioni

 

 

I conti non tornano perché nel Paese ci sono 5 milioni di disoccupati ovvero di senza reddito e ci sono 12 milioni di cittadini che stanno tra i 15 mila e i 28 mila euro del primo scaglione che sono la quota più grande del primo scaglione.

Per quest’ultimi il governo predispone una griglia di scaglioni ulteriormente dettagliata:

 

– non supera Euro 8.500, si applica la percentuale del 7,1%;

– supera Euro 8.500 ma non supera Euro 15.000, si applica la percentuale del 5,3%;

– supera Euro 15.000, si applica la percentuale del 4,8%.

 

Dunque tutti pagano le tasse, nessuno escluso ma la proporzione è quelli che stanno nel mezzo pagano la maggiore quota di tasse in una proporzione troppo alta rispetto a quelli che stanno ai due estremi (7,1% e 43%) ovvero la forbice che separa i due espremi è troppo stretta e penalizza il mezzo che è di fatto il gruppo più numeroso.

Ai  cittadini si uniscono le imprese che devono pagare le tasse sulla base dei profitti realizzati. E il governo si regola con misure fiscali per i premi di produttività e per il welfare aziendale Viene prorogato, estendendolo al triennio la 2025-2027, il dimezzamento (dal 10% al 5%) dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sulle somme erogate sotto forma di premi di risultato o di partecipazione agli utili d’impresa. Le aziende hanno comunque degli scaglioni sulla base dell’utile (reddito)

 

Imprese

 

Scaglioni di reddito in Euro Aliquota Imposta dovuta
da 0 a 28.000 23% 23% sulla parte eccedente la no tax area
da 28.000,01 a 50.000 35% 6.440 € + 35% sulla parte eccedente i 28.000€
oltre 50.000 43% 14.140 € + 43% sulla parte eccedente i 50.000€

 

 

Anche in questo caso bisogna integrare il dato con i numeri assoluti di aziende che si collocano nelle fasce, e tenere conto del numero di aziende che sono state chiuse nell’anno in corso, di quante sono in stato di fallimento o presto ci entreranno. Ci sono 4.665.000 imprese attive in Italia e di queste imprese ben 4.430.000 sono con meno di 10 addetti e altre 207.00 hanno tra 10 e 49 addetti quindi ai fini fiscali del prelievo si collocano tra il primo e il secondo scaglione nei due settori che costituiscono il gettito maggiore

La prima condizione del principio della partecipazione di tutti (cittadini ed imprese) alle spese dello Stato (e non solo al welfare come è creduto da molti in questo periodo) sembra essere formalmente soddisfatta, ma nella sostanza tutti coloro che non producono reddito dovrebbero essere considerati non soggetti ad imposizione non per scaglione ma per cifra assoluta in modo tale da evitare il vergognoso fenomeno dell’evasione che proprio nella scelta del metodo della determinazione per scaglioni di reddito imponibile trova le maglie per dichiarare o non dichiarare secondo la convenienza dell’anno fiscale.

Quello che resta insoddisfatto è il criterio della proporzionalità ben temperata bisognerebbe precisare per che gli scaglioni che contribuiscono alle spese sono quelli dal lato dei cittadini che garantiscono una entrata certa ovvero dipendenti pubblici e pensionati e in misura minore gli autonomi (lavoro in proprio) e dal lato delle imprese le piccole imprese e le poce medie che riscono ancora ad andare avanti nonostante la grande distribuzione in alcuni settori le abbia falcidiate senza pietà (espulse dal mercato senza tanti complimenti).

La politica fiscale ovvero la capacità di raccogliere risorse dai cittadini e dalle imprese è il fulcro di ogni politica di governo di qualsiasi Paese e dalla capacità di essere persuasiva ed anche convincente diepnde anche il futuro dello stesso governo e non soltanto la “capienza della borsa”  della spesa pubblica e dell’indebitamento. E’ di questi giorni le dimissioni del ministro delle finanze della Repubblica Federale di Germania.

La nostra Costituzione resta in parte disapplicata nella politica fiscale ma la conoscenza esatta di quanto ampia sia la forbice che l’allontana dalla piena applicazione è già un elemento a favore del superamento della distanza; tuttavia per ovvie ragioni politiche questa azione non è da aspettarsi da parte dei governi poiché ciascuno di esso è interessato a farsi approvare politiche fiscali che recuperino il maggior gettito possibile,  quanto puiuttosto dall’opinione pubblica che nella sua funzione di controllo e senza eessere bloccata dal pregiudizio di “osticità” che ammanta la fiscalità , svolga la sua funzione e tuteli i propri interessi ivi compresi quelli di proporzionalità e di uguaglianza nel pagamento delle spese dello Stato .