La Storia come rilettura continua
L’incipit di questa seconda edizione del libro di Fabio Martini (Controvento. La vera storia di Bettino Craxi, pubblicato da Rubbettino, contiene un’affermazione) che dovremmo mandare a mente ogni volta che ci si esprime – nell’immediatezza degli eventi – sul presente che sta diventando passato prossimo: da sempre la Storia (con la S maiuscola) si ripensa e si riscrive più volte in modo direttamente proporzionale al trascorrere del tempo. Più ci si allontana dai fatti e più la loro narrazione viene rivisitata, più i contorni delle vicende e dei loro personaggi vengono focalizzati con meno enfatizzazione emotiva e più discernimento critico.
È una regola non scritta che trova conferma “molti anni dopo” – per usare una celebre espressione di Gabriel García Márquez – senza che si debba cadere forzatamente in una sorta di revisionismo di maniera. Anzi, la narrazione acquisisce dettagli, persino inediti, che emergono a poco a poco e inducono a ripensamenti: nei corsi e ricorsi storici di vichiana memoria il passato si compara con il presente, e quella che un tempo appariva come verità scontata e assoluta viene contestualizzata per essere meglio interpretata, con maggiore rigore critico.
Craxi e la necessità di uno sguardo retrospettivo
Anche la biografia personale e politica di Bettino Craxi, politico controverso, carico di un vitalismo dirompente e talora intemperante, non sfugge a questa rilettura e va inquadrata con conoscenze più approfondite e con maggiore rigore epistemologico nell’analisi retrospettiva e nella sua valutazione aggiornata.
Dobbiamo essere grati all’autore di questo saggio perché non tutti coloro che si cimentano nella rivisitazione storiografica conservano una necessaria terzietà della narrazione. La cultura contemporanea appare sempre più caratterizzata da effetti speciali e caricature già scontate, sia che riguardino lo svolgersi degli eventi sia che si riferiscano ai loro protagonisti, archiviati in modo tipizzato per voltare pagina troppo frettolosamente.
Il leader e il racconto degli eventi
Colpisce, nella lettura del libro di Martini, l’intreccio sistematico e consapevole tra dimensione personologica, persino caratteriologica, e racconto degli eventi – anche nei minimi dettagli – fino a diventare un tutt’uno, come spesso accade ai leader politici che lasciano una traccia profonda del loro passaggio.
Senza considerare che, nell’inquadrare un’esperienza politica e istituzionale, riserve, critiche e giudizi sommari sono spesso dettati da divergenze di vedute che non integrano di per sé il concetto di verità: che vengano da destra, da sinistra o dal centro, sono un mix di considerazioni oggettive e di fattori soggettivi non sempre riconosciuti come tali.
Processi di piazza e giustizialismo
Se c’è stato un leader politico che più di altri ha subìto sommari processi di piazza – dalle monetine lanciate all’uscita dell’Hotel Raphael alla lunga vicenda di Mani Pulite – questi è stato senz’altro Bettino Craxi. Forse solo Giulio Andreotti potrebbe essere accostato a questa sorte, seppure per motivazioni diverse, laddove la caratura personale dell’uomo finisce per diventare un vulnus alla sua militanza politica e ai risultati che ne sono derivati.
La Storia va riletta, ripensata e talvolta riscritta, soprattutto quando nasce da contesti epocali complessi, di affrettata e superficiale lettura, mescolati al furor di popolo o al giustizialismo come deriva dell’immaginario collettivo che tende a sostituire la Giustizia con il giudizio mediatico, sempre meno capace di distinguere tra sospetti e prove.
La politica di ieri e la povertà di oggi
Guardando lo spettacolo desolante di una politica odierna frammentata, litigiosa, personalizzata e priva di un solido retroterra culturale e ideologico, volgere lo sguardo al passato restituisce un ordine di grandezza inversamente proporzionale tra i temi e i loro protagonisti.
Ciò vale tanto per la politica interna quanto per lo scenario globale, segnato dalle guerre e dal nuovo ordine mondiale in formazione, con particolare riferimento alla dimensione europea: sempre più evocata come fattore dirimente, ma spesso priva di convinzioni forti, di visioni lungimiranti e di reali vie d’uscita condivise.
Sigonella, l’Italia e la scena internazionale
La vicenda di Sigonella – che l’autore ricorda giustamente come momento cruciale nei rapporti tra Italia e Stati Uniti (con Reagan presidente) – dimostrò come il decisionismo craxiano risolvesse, anche con un atto di forza, ciò che oggi appare irrisolvibile nel Mediterraneo o in Ucraina, in un contesto di polarizzazione USA–Russia–Cina che rende l’Europa un soggetto debole ed emarginato.
L’ascesa del PSI e la “politica dei due forni”
Martini si sofferma sull’ascesa politica di Craxi nel partito e poi nei rapporti istituzionali, in particolare con DC e PCI e con i loro leader. L’obiettivo era rivendicare una considerazione paritetica per il PSI: operazione riuscita, come dimostrano l’ascesa a Palazzo Chigi e l’elezione di Sandro Pertini al Quirinale.
Non era solo una questione di potere: Craxi intuiva l’emergere della laicità dello Stato, il declino ideologico del PCI e la necessità di ridiscutere i rapporti di forza nella sinistra. La cosiddetta “politica dei due forni” – alleanza con la DC a livello nazionale e apertura al PCI negli enti locali – può oggi essere riletta come una declinazione pragmatica del principio di governabilità.
Risultati, ombre e il discorso del 3 luglio 1992
L’autore richiama eventi inconfutabili: l’iniziativa umanitaria per Aldo Moro, l’elezione di Pertini, il “sorpasso” del 1987 sul PIL britannico, l’Atto unico europeo del 1985 come premessa a Maastricht. Tangentopoli spazzò via la Prima Repubblica, ma lasciò irrisolti nodi strutturali, come ricordava Antonio Polito nel 2013.
Craxi fu forse lo statista che pagò più di tutti quella stagione, fino all’esilio e alla morte. Restano ombre e opacità, e soprattutto resta nella memoria collettiva il discorso del 3 luglio 1992 alla Camera sul finanziamento politico, mai realmente smentito dai fatti.
Nessuno allora si alzò, né lo ha fatto dopo. Quel discorso segna il confine tra un grande statista disposto a mettersi in gioco e una folla di figure minori che hanno preferito simulare e farsi da parte.

