La strada del componimento pacifico per via negoziale appare sempre più stretta. Giungono intanto notizie di massicce offensive russe cui si contrappongono ritirate strategiche ed improvvise azioni di disturbo effettuate dalle truppe locali su obbiettivi mirati, senza che il quadro militare generale possa sostanzialmente definirsi mutato.
Giorgio Radicati
Nel passare in rassegna il susseguirsi degli eventi, si rileva come il fossato tra la Russia e l’Occidente tenda pericolosamente ad allargarsi e, di riflesso, la strada del componimento pacifico per via negoziale appaia sempre più stretta.
La missione a Kiev di Draghi, Macron e Scholz ha portato per almeno un giorno alla ribalta “le illustri comparse” della crisi russo-ucraina. Nelle dichiarazioni rese durante ed al termine della breve visita dai tre rappresentanti europei, quello italiano è apparso il più agguerrito e fermamente convinto della necessità di sostenere l’Ucraina economicamente e militarmente nonché di appoggiare senza riserve il suo ingresso nell’Unione Europea, riuscendo, almeno all’apparenza, a trainare i suoi compagni di viaggio (che sembrava avere in precedenza indottrinato a puntino).
Per certi aspetti la circostanza potrebbe stupire, tenuto conto della politica indipendente da Washington cavalcata dal leader francese e quella solitamente prudente e misurata adottata da Scholz come potrebbe parimenti stupire il fatto che il Presidente del Consiglio italiano abbia confermato una linea inflessibile molto vicina a quella americana, pur non essendo pienamente condivisa dalla totalità dei partiti che sostengono il suo governo nonché, stando ai sondaggi, dalla maggioranza della popolazione (ben oltre il 50%). Si ha, pertanto, l’impressione che Draghi sia deciso a portare avanti una propria politica, volendosi accreditare come convinto difensore dei principi occidentali difesi dalla NATO (il mandato di Stoltemberg dovrebbe scadere la prossima primavera, in concomitanza con le elezioni politiche italiane…). In altri termini, di fronte alla campagna elettorale già in corso in Italia, l’ex banchiere sembrerebbe voler andare avanti per conto suo, cavalcando l’atlantismo ispirato dalla politica di Biden e confrontandosi il meno possibile con il Parlamento.
Del resto, nel corso di una visita “ad hoc” e di fronte al Presidente dell’Ucraina, Macron e Scholz non potevano tirarsi troppo indietro ed hanno perciò dovuto seguire lo spartito che il collega italiano, dopo avere predisposto con tanta cura, ha interpretato con efficacia e forte determinazione.
Ciò detto, al di là delle espressioni di sostegno manifestate dai tre leader, permane l’idea di una linea europea ondeggiante circa l’atteggiamento da assumere nei confronti di Mosca. Ciò è in gran parte dovuto dalla serie di interessi, pregiudizi e timori non sempre coincidenti, che caratterizzano i comportamenti e le dichiarazioni dei ventisette membri dell’Unione, che spesso appaiono più impegnati a minimizzare l’effetto “boomerang” delle sanzioni piuttosto che opporre a Mosca una salda barriera unitaria.
Su tale variegata tessitura Putin continua a puntare per rendere più fragile l’alleanza europea, ricorrendo anche alla diversa somministrazione di forniture energetiche nonché alla misurata e diplomatica gestione dell’emergenza alimentare mondiale (per la difficoltà di trasportare per mare il grano stoccato nei silos ucraini) e ribattendo colpo su colpo sull’onda di una intensa escalation militare e propagandistica con il risultato di rendere lo scontro fra Est ed Ovest (perché di questo ormai si tratta) più forte e sanguinoso.
In tal senso, ventiquattro ore dopo l’incontro di Kiev, in occasione del Forum economico di San Pietroburgo, il neo zar si è scagliato ancora una volta contro l’Occidente con una lunga ed articolata esternazione, definendolo una entità politica ed economica ormai prossima al crollo e condannando, in particolare, la sudditanza dell’Unione Europea nei confronti degli Stati Uniti, che arriverà – ha enfatizzato – a mettere fortemente a rischio la sua stessa sovranità. Al tempo stesso, egli ha affermato che l’epoca del mondo unipolare era terminata, rivendicando per la Russia un ruolo di prima grandezza nella creazione di nuovi equilibri mondiali geopolitici e per la capacità di respingere tutti gli attacchi, anche economici (con esplicito riferimento alle sanzioni), che le sono stati mossi.
Subito dopo, in risposta al blocco ferroviario deciso dal governo lituano in materia di trasporto di merci da Vilnius verso il territorio russo a seguito dell’applicazione delle sanzioni stabilite dall’Unione Europea, Mosca ha reagito minacciosamente, affermando che ogni limitazione al transito di merci dalla Russia verso Kalinigrad (enclave russo) comporterebbe conseguenze dirette per il popolo lituano, facendo intravedere una potenziale e, per certi aspetti, esplosiva rivendicazione territoriale su quell’area per sottrarla alla sovranità di quel paese (tenuto conto che una analoga rivendicazione tedesca su Danzica portò allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale). Ossia, altra legna sul fuoco che arde!
Ma la ciliegina sulla torta Putin l’ha messa quando, quasi contemporaneamente, in un discorso ai diplomatici delle accademie militari, ha annunciato l’operatività entro fine anno del super missile balistico intercontinentale Sarmat, con gittata fino a diciottomila chilometri, in grado di montare fino a dodici testate termonucleari e di neutralizzare il sistema antimissilistico americano Thaad. Con l’occasione, egli ha anche brevemente illustrato il rafforzamento in atto dell’esercito impegnato in Ucraina, esaltando la capacità operativa dei sistemi anti missilistici S-500 a disposizione.
La risposta dell’Unione Europea e di Washington non si è fatta attendere. Infatti, mentre il presidente americano annunciava il prossimo invio in Ucraina di nuovi sofisticati armamenti, il Consiglio ha riconosciuto lo status di candidati all’ingresso nell’Unione di Ucraina e Moldavia mediante una forte accelerazione delle procedure favorita – come è stato precisato – dal conflitto in essere in quella regione.
Oggi avrà inizio il periodico vertice della NATO (25-26 giugno). In questa sede verrà esaminata la situazione militare sul campo e saranno adottate le decisioni necessarie per continuare a tenere sotto controllo l’offensiva russa, anche in vista di possibili eventuali sviluppi. Si può, però, già prevedere che non saranno di certo inviati a Mosca ramoscelli d’ulivo…
Nel frattempo, la guerra continua. Giungono notizie di massicce offensive russe cui si contrappongono ritirate strategiche ed improvvise azioni di disturbo effettuate dalle truppe locali su obbiettivi mirati, senza che il quadro militare generale possa sostanzialmente definirsi mutato. Insomma, resa ucraina, vittoria russa e negoziati di pace continuano ad essere parole di fatto bandite dal lessico utilizzato dalle parti in conflitto.