La situazione continua ad essere molto confusa e il futuro prossimo estremamente incerto. Le incognite dell’equazione Ucraina/Russia/Occidente sono molteplici, pertanto bisogna continuare a scommettere sulla possibilità di piegare l’intransigenza di Putin.
Mentre lo scontro tra Russia e Occidente appare sempre più tangibile, stando all’ormai quotidiano reciproco scambio di gravi accuse e inquietanti minacce, il conflitto armato e la diplomazia continuano a ruotare intorno alla crisi ucraina senza che nessuno dei due fattori appaia in grado di favorire, in un senso o nell’altro, una soluzione. Putin insiste nel puntare sulle armi. Lo esige la sua (ormai acclarata) mania di grandezza supportata, per l’occasione, dalla necessità (per restare in patria saldamente al suo posto) di dimostrare la giustezza dell’analisi politica e militare che hanno guidato la decisione di invadere l’Ucraina.
L’esercito, però, seppur preponderante per numero di truppe e armamenti, non è ancora riuscito a neutralizzare un avversario, la cui capacità e volontà di resistere sembrano essere state ampiamente (e grossolanamente) sottovalutate dai servizi speciali russi. Appare, infatti, ormai chiaro a tutti che il piano iniziale prevedeva una implosione dell’Ucraina mediante un imponente spiegamento di forze (la colonna di carri armati lunga oltre sessanta chilometri) per ottenere il disfacimento del governo e la capitolazione del Paese senza sporcarsi troppo le mani. Fallito quel disegno, Putin ha cambiato strategia, cingendo di assedio le principali città ucraine per poi bombardarle a tappeto e costringere milioni di civili all’esodo e la resistenza militare alla capitolazione. Tuttavia, per il momento, anche questo secondo piano sembra non dare i risultati attesi.
Al tempo stesso, Putin non aveva previsto la volontà dell’Europa e degli Stati Uniti di scendere in campo in maniera compatta, sostenendo in tutti i modi possibili la difesa ucraina e, al tempo stesso, sferrando un forte attacco all’economia russa con l’imposizione di severe sanzioni economiche.
Sulla diplomazia punta, invece, Zelensky, consapevole che, a questo punto, soltanto un onorevole compromesso negoziale potrebbe consentirgli di uscire dall’angolo dove il suo avversario lo ha confinato con la forza. In virtù di una notevole capacità di comunicazione (non a caso egli è stato un brillante uomo di spettacolo), il presidente ucraino è riuscito a mantenere, seppur a distanza e malgrado la brutalità dello scontro, uno stretto vincolo con il suo popolo nonché ad avviare un dialogo diretto con i leader e i parlamenti dei principali Paesi occidentali, dai quali ottiene plauso ed assistenza di ogni tipo. Anche il Papa si è schierato dalla sua parte, criticando fortemente l’invasione, a rischio di turbare i rapporti con la consorella chiesa ortodossa russa.
Ma per negoziare occorre essere in due, oltre a poter fruire della preziosa attività di un autorevole mediatore, che sostanzialmente ancora fa difetto. Infatti, la Cina si è sfilata con una proverbiale molto significativa battuta: “Togliere il collare alla tigre spetta a colui che glielo ha messo…”. Israele sta dimostrandosi non troppo equidistante dai due belligeranti (almeno secondo Mosca). La Turchia rimane l’unico Paese impegnato a favorire un colloquio fra le parti, pur avendo capito (come tutti, del resto) che Putin vorrebbe presentarsi intorno al tavolo negoziale soltanto per ratificare la definitiva capitolazione dell’avversario. Erdogan, però, non demorde, ritenendo che lo scorrere del tempo e la sostanziale incapacità russa di prevalere sul piano militare potrebbero rendere flessibile il comportamento di Mosca e portare in auge il suo tentativo (non del tutto disinteressato, se soltanto si considerano gli interessi turchi nel Mar Nero…).
In tutto ciò i Paesi occidentali sono uniti nell’impedire l’avanzata dell’armata russa, ma lo sembrano meno nella scelta dei mezzi a disposizione. Si passa, infatti, dall’atteggiamento di Biden, orientato ad escludere nettamente ogni coinvolgimento diretto nel conflitto (compresa la fornitura agli ucraini di armi strettamente offensive) a quello della Polonia propensa anche all’invio di aerei ed unità militari di “peace keeping” da disporre su aree di territorio ucraino non ancora oggetto di invasione russa (?). Anche sull’ulteriore inasprimento delle sanzioni economiche la posizione dei vari Stati non appare essere univoca in funzione della diversa dipendenza di ciascuno dal gas e petrolio russi. Del resto, lo stesso Biden deve anche tenere conto dei commenti in patria dell’opposizione repubblicana, che gli contesta la linea di comportamento adottata nei confronti di Mosca ritenuta eccessivamente prudente, forse anche per indebolire la sua immagine in vista delle elezioni congressuali di fine anno.
I recentissimi incontri di Bruxelles dei maggiori leader occidentali, con Biden solidamente al comando, sembrano aver sostanzialmente confermato una unità d’intenti soltanto apparente, dietro la quale, in controluce, persiste la presenza di riserve mentali in ciascuno di loro consistenti in dubbi, timori, esitazioni, aspirazioni, velleità, frustrazioni e molto altro, ma tutte inespresse per il timore che la situazione possa improvvisamente sfuggire di mano, sfociando in un pericoloso allargamento del conflitto ovvero in un improvviso sconsiderato utilizzo di armi nucleari. In tal senso, un fronte unito appare doveroso e mai come in questo caso l’unione fa la forza, soprattutto se a guidarla è il presidente degli Stati Uniti, che, per l’occasione, ha anche espresso l’impegno americano a ridurre la dipendenza energetica europea dalla Russia mediante forniture addizionali di gas (seppur diluite nel tempo).
Le suddette perplessità, del resto, riflettono il comune sentire delle opinioni pubbliche nazionali, al cui interno le tradizionali spinte pacifiste si sommano al diffuso timore popolare per un devastante conflitto nucleare. Tutto si scontra poi con un ampio fronte determinato ad impedire alla Russia di prevalere, pur dissentendo, a volte anche profondamente, dall’invio di armamenti, considerato una operazione in grado soltanto di prolungare la guerra, con ulteriore inutile spargimento di sangue.
All’interno di questo variegato “mare magnum” di opinioni Mosca non può fare a meno di pescare a proprio uso e consumo. Proprio Lavrov, consumato diplomatico di lungo corso, ha affermato che gli Stati Uniti hanno un interesse precipuo a far sì che il conflitto sul territorio ucraino duri più a lungo possibile. Ecco perché – egli ha sottolineato – gli americani sono impegnati, insieme ai loro alleati europei, a rifornire Zelensky di armamenti…È chiaramente un messaggio lanciato all’onda pacifista con la speranza che possa, prima o poi, sfaldare il fronte militarista europeo.
In conclusione, la situazione continua ad essere molto confusa e il futuro prossimo estremamente incerto. Le incognite dell’equazione Ucraina/Russia/Occidente sono molteplici. Una navigazione a vista s’impone, in attesa di un qualche sviluppo in grado di attenuare l’intransigenza di Putin che della partita politica, diplomatica e militare in corso continua ad impersonare l’ago della bilancia.
Giorgio Radicati, Ambasciatore.