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giovedì, 11 Dicembre, 2025
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Custode delle fragilità interiori: ricordando Eugenio Borgna.

Un anno dopo la sua scomparsa, il ricordo di un medico e di un uomo capace di unire rigore scientifico e profonda umanità, ponendo la relazione e l’ascolto al centro della cura.

Il medico dellascolto

Un anno fa ci lasciava il Prof. Eugenio Borgna, decano degli psichiatri italiani, personalità di fama e rilevanza internazionale. Se ne andava in silenzio, senza clamori, in punta di piedi, con discrezione, circondato dall’affetto dei suoi cari e dal pensiero grato e reverente di quanti – e sto scoprendo che sono moltissimi – gli hanno voluto bene.

Lo ricordo come una persona straordinaria, che sapeva unire una professionalità sicura e competente a una grande umanità. Aveva una visione “olistica”, cioè aperta, totale, inclusiva della psichiatria come scienza da un lato e come viatico alle alterne vicende e alle sofferenze della vita: un approccio centrato sull’ascolto e sul dialogo con i suoi pazienti.

Ciò non era solo un dovere di etica professionale, ma anche e soprattutto il convincimento interiore – maturato in anni e anni di professione – che per occuparsi delle fragilità della mente e dell’insicurezza emotiva occorra un approccio terapeutico più ampio di quello strettamente clinico, accompagnato da una spiccata sensibilità spirituale, da una spontanea propensione all’introspezione: conoscere, capire, aiutare.

Possiamo chiamare sapientia cordis questa sua capacità, possiamo tradurla in “bontà dell’animo”: qualcosa che non si impara e non si eredita, ma che appartiene al modo di essere della persona, alla sua autenticità originale e irripetibile.

Scienza e narrazione

Scienza e umana comprensione non sono mai stati per lui poli separati o antitetici, ma dimensioni compresenti, incentrate sul dialogo e sull’ascolto empatico del paziente psichiatrico: una nuova maniera di accostarsi alla malattia, più rispettosa dello stato di sofferenza della persona.

Su questi convincimenti aveva formato e consolidato il suo approccio terapeutico e li aveva saputi spiegare in una sterminata produzione di libri con una singolare peculiarità: unire esposizione scientifica e narrazione umanistica, epistemologia medica e racconto.

Personalmente – e lo riferisco solo come debito che avevo con lui – ero sorpreso dalla considerazione che mi riservava nei nostri intensi carteggi: quando gli inviavo le mie recensioni dei suoi libri o qualche articolo che pensavo potesse interessargli, lui mi rispondeva sempre, in modo quasi sorprendente, per condividere pensieri, parole, emozioni, sentimenti.

Conservo questo archivio di ricordi epistolari come uno scrigno prezioso da cui attingere per comprendere meglio gli aspetti anche più reconditi e apparentemente inaccessibili della vita. Mi ritengo un privilegiato, ma sono convinto che fosse così con tutti: era il suo stile comunicativo, una spontanea spinta interiore verso la relazione.

L’ultimo suo libro che avevo recensito era In dialogo con la solitudine, un capolavoro assoluto per capacità di introspezione.

 

Loasi della solitudine

La solitudine, secondo Borgna, presenta molti aspetti e costituisce forse il motivo professionale di uno scandaglio interiore impegnativo e difficile. Ma egli era capace di cogliervi una funzione maieutica: la solitudine ci mette in contatto con il passato, ci fa rivisitare il presente, può persino diventare fonte generativa di speranza, un aiuto nella ricerca di ciò che è davvero essenziale.

Trovo molto significativa la metafora che Borgna evoca nella chiusa della sua riflessione, laddove paragona la solitudine a una «oasi nel deserto».

Importante perché l’oasi significa approdo, e molto spesso salvezza – siamo tutti naufraghi alla deriva di un’inevitabile precarietà esistenziale –, ma anche per il deserto che sta intorno a noi: nonostante le apparenze di un ecumenismo virtuale, la solidarietà e il perseguimento del bene comune faticano a diventare un dovere riconosciuto nell’immaginario collettivo.

Questo inciso – a cui il Prof. Borgna attribuiva un significato riassuntivo e quasi conclusivo del suo discorso – dovrebbe aiutarci a rispettare le solitudini altrui, a essere più indulgenti nelle cose della vita.

 

Un breve profilo professionale

Eugenio Borgna è stato uno psichiatra, saggista e accademico di fama internazionale. Come primario di servizi psichiatrici ospedalieri, fin dai primi anni ’60 ha adottato metodi di cura che, esorbitando dalla comune prassi clinica, si sono incentrati sul dialogo reciproco e l’ascolto empatico del paziente psichiatrico, non soggetto ad alcuna forma di coercizione, contenzione o imposizione, sperimentando così, per la prima volta in Italia una nuova maniera di accostarsi alla malattia psichiatrica, più umana, rispettosa e comprensiva del dolore del paziente,.

Strenuo sostenitore di una “psichiatria dell’interiorità”, capace di individuare o cercare di scorgere quella dimensione profonda e soggettiva del disagio psichico, attraverso una prospettiva interdisciplinare che coinvolge discipline e campi eterogenei, quali la letteratura la filosofia e l’arte, ha altresì condotto interessanti e innovativi studi sulla malinconia, la depressione e la schizofrenia nonché sui fondamenti epistemologici e metodologici della psichiatria.

Nel 2018, è stato insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Autore di numerosissimi saggi e libri, per Einaudi ha pubblicato: Elogio della depressione (2011), La fragilità che è in noi (2014), Parlarsi (2015), Responsabilità e speranza (2018), Le parole che ci salvano (2017), Lascolto gentile (2017 e 2018), La nostalgia ferita (2018), La follia che è anche in noi (2019), Speranza e disperazione (2020), In dialogo con la solitudine (2021).