L’intesa raggiunta tra Stati Uniti e Unione Europea sui dazi commerciali viene celebrata da Trump come un successo “colossale”, mentre a Bruxelles si avverte tutta la fragilità di un compromesso politico non vincolante e carico di insidie.
Comunicazioni discordanti
Le versioni non coincidono. Washington parla di via libera alle esportazioni agricole e industriali, allentamento delle barriere sanitarie, digitali e doganali. In cambio, la Ue prevede investimenti per 600 miliardi negli Usa e acquisti energetici (compresi reattori civili) per altri 750 miliardi.
Il documento della Commissione europea, diffuso ore dopo il comunicato americano, insiste: l’intesa “non è vincolante a livello legale”, rispetta la sovranità normativa della Ue e non modifica gli standard su sicurezza alimentare e digitale. Il portavoce Olof Gill parla di “ottimizzazione”, ma non fuga i dubbi. La dichiarazione congiunta ufficiale è ancora in attesa, e il clima resta opaco.
Reazioni negative
Nel frattempo si alzano le voci critiche. Bayrou parla di “giorno buio per l’Europa”. Merz denuncia “gravi danni per i tedeschi”. Segnali di malessere che superano il piano tecnico e toccano il nervo politico.
Meloni ondeggia, l’opposizione abbaia (ma non morde)
A Roma, Meloni sceglie l’equilibrismo: non rompe con Bruxelles, ma difende il rapporto con Trump. Evita l’immagine accanto a Ursula von der Leyen, ma promuove l’intesa. A copertura, La Russa afferma che “Trump non è mai stato un punto di riferimento per la destra”. Una precisazione che, più che smentire, conferma l’imbarazzo.
Eppure, l’apertura di un varco c’è. Il disallineamento tra governo e opinione pubblica inizia a farsi sentire. Ma l’opposizione non lo intercetta. Perché l’alternativa oggi visibile – la sinistra di Schlein, Conte e Fratoianni – non è solo fragile: è radicale, e perciò incapace di aprirsi a una prospettiva di aggregazione al centro. Un limite strategico che consente alla maggioranza, pur in difficoltà, di reggere.