L’autore esprime viva adesione alla tesi espressa ieri sulle nostre pagine da Giorgio Merlo. “C’è la necessità di superare quel “bipolarismo selvaggio” introdotto in Italia dopo la fine della Prima Repubblica”.
Ettore Bonalberti
L’ultimo articolo di Giorgio Merlo pubblicato da “ Il Domani d’Italia” (Centro, che può essere? Non la replica della Dc, ma qualcosa che ne costituisca la ripresa in termini di valori e contenuti”) è un contributo importante al progetto di ricomposizione politica della nostra area culturale e sociale. Vorrei innanzi tutto confermare che nemmeno noi che, dal 2011-12, tentiamo di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui “la Dc non è mai stata giuridicamente sciolta”, abbiamo pensato che si potesse rifare la Dc storica; il partito che per molti di noi è stato quello dell’intera vita e rimane ancora oggi il proprio riferimento ideale. Ciò che è stato è stato e non può essere replicato nelle nuove e assai mutate condizioni storico politiche dell’Italia e del mondo.
Altra prospettiva, come anche rileva Merlo, è concorrere a dar vita a “qualcosa che ne costituisca la ripresa in termini di valori e di contenuti”. Ecco, per tale prospettiva anche noi, che ci siamo organizzati dal 2012 nella Dc guidata prima da Gianni Fontana e oggi da Renato Grassi, siamo pronti a offrire il nostro contributo; non per un nostalgico ricordo di ciò che fu, ma nella consapevolezza che di un centro politico nuovo ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano ha ancora bisogno il nostro Paese. C’è la necessità di superare quel “bipolarismo selvaggio” introdotto in Italia dopo la fine della Prima Repubblica, soprattutto per offrire a un elettorato stanco e sfiduciato, sempre più renitente al voto, una nuova speranza. Ho evidenziato più volte la condizione di anomia morale, culturale, sociale e politica in cui versa il Paese. La crisi prodotta da una globalizzazione nella quale è prevalso il superamento del NOMA (Non Overlapping Magisteriae), per citare un frequente concetto espresso dal prof Zamagni: il prevalere della finanza sull’economia reale, con la riduzione della stessa politica ad un ruolo ancillare, mentre sul piano politico si assiste allo scontro tra una destra nazionalista e sovranista e una sinistra divisa, tra il PD alla ricerca della propria identità e il M5S, espressione del rancore dei “vaffa” nel voto del 2018, tradottosi nel trasformismo progressivo di quanti impegnati ad “aprire il parlamento come una scatoletta di tonno”, hanno finito con l’assumere le più diverse posizioni, pur di non perdere i vantaggi di potere conseguiti.
Risultato? Il terzo stato produttivo e i ceti popolari, dalla cui saldatura, sempre garantita dalla Dc sul piano politico e istituzionale, dipende la tenuta democratica del Paese, non si riconoscono più in un centro destra dominato dalle posizioni estreme di Salvini e della Meloni, o in quelle equivoche di un’alleanza PD-M5S messa in crisi ogni giorno dagli ondivaghi atteggiamenti dell’ex presidente Conte. Uniche certezze, espressioni di stabilità istituzionale e politica, sono quelle rappresentate dal Presidente della Repubblica, Mattarella, e dal capo di governo, Draghi, esponenti dell’area euro atlantica italiana, erede della migliore tradizione politica di tutta la storia repubblicana. Ha ragione Merlo, alla fine, sono molto poche le residue “casematte” della diaspora democratico cristiana. A parte quella, come l’Udc, impegnata nella difesa della rendita di posizione di un simbolo, lo scudo crociato, sin qui utilizzato solo per la sopravvivenza politica a destra dei soliti noti, io credo che tutte le altre esperienze, come quella di Insieme di Infante-Tarolli, della Dc di Grassi e Cuffaro, del Centro di Mastella e dello stesso Merlo, e con esse, anche l’esperienza avviata da Rotondi dei Verdi Popolari, possono e debbono compiere il salto di qualità per la ricomposizione politica dell’area. Se per motivi diversi non cogliessero tale necessità, mi auguro che il processo avviato dalla base (bottom up) per la convocazione di un’assemblea costituente per detta ricomposizione, potrebbe favorire il progetto.
Certo molto dipenderà dalla legge elettorale che, alla fine, sarà adottata. Permanesse l’attuale maggioritario del rosatellum, senza una forte componente unita di area cattolico democratica e popolare, inserita in una più vasta federazione di laici, liberale e riformista, unita nella difesa dell’euro atlantismo, obbligato dall’ennesima necessità di scegliere tra destra e sinistra, il nostro potenziale elettorato si tripartirebbe, con l’aggiunta, tra la scelta a destra o a sinistra, di una terza componente renitente al voto. Se, viceversa, e come ci auguriamo, alla fine prevarrà la legge proporzionale con sbarramento e preferenze e con l’introduzione dell’istituto della sfiducia costruttiva anti trasformismo parlamentare, tale ricomposizione sarebbe non solo opportuna, ma indispensabile, proprio per evitare il rischio di quei partiti bonsai, a diverso titolo Dc, cui fa riferimento Merlo nel suo articolo.
C’è, tra di noi, chi pensa giustamente al voto dei millenians che non hanno mai conosciuto la storia della Dc, se non nella versione deformata della “damnatio memoriae” cui è stata relegata, ma tale opera di formazione, certamente meritoria, ma metapolitica, ha scadenze inevitabili di medio-lungo periodo, incompatibili con quelle che la realtà politica ci impone. In previsione delle prossime elezioni nazionali, credo, invece, che il nostro dovere prioritario sia proprio quello di impegnarci, ognuno per la sua parte e nell’ambito politico organizzativo in cui si ritrova, per favorire quel soggetto politico nuovo che se non sarà la Dc, dovrà essere “qualcosa che ne costituisca la ripresa in termini di valori e di contenuti”.
Ettore Bonalberti
- segretario nazionale Dc- Presidente dell’associazione ALEF ( Associazione Liberi e Forti).