Il caso Bigon merita una riflessione aggiuntiva in una comunità politica plurale fortemente impegnata nella definizione di una nuova stagione di diritti civili. Sono volate espressioni sproporzionate da una parte e dall’altra, con una difesa pregiudiziale e con attacchi sommari. Tutto questo non sembra appropriato alla peculiare intensità umana del tema in questione (regolazione del fine vita) e neanche alla serietà della consigliera Anna Maria Bigon.
La Corte Costituzionale si è autorevolmente espressa invitando il legislatore ad intervenire per regolare un vuoto che aumenta la sofferenza di chi già vive condizioni drammatiche e provoca una molteplicità di casi “fai da te” non meno inquietanti. La prima domanda da porsi è se sia corretto che ciascuna regione si muova per conto proprio con il rischio di disegnare una Italia diseguale anche in questo delicatissimo campo. L’iniziativa del Presidente della regione Veneto Zaia, volta ad appoggiare una proposta di legge popolare con tanto di raccolta di firme, tendeva certamente a creare uno stato di fatto, nel nome di una autonomia differenziata che, per diverse ragioni fermamente combattiamo. Il fatto che il centro-destra si sia sgretolato nel seguire la linea Zaia è di fronte agli occhi di tutti, e che il Partito democratico ha rischiato di fare la stampella politica in una situazione non priva di forti ambiguità. È evidente come la lotta nel centro destra sia portata avanti soprattutto dal partito della premier per indebolire Zaia e scoraggiarne le ambizioni di un terzo mandato.
Lo spettacolo che ne è emerso è dunque davvero miserabile sul piano umano e politico: giochi di potere dietro le quinte su di una delle tematiche più dure e sconvolgenti della nostra convivenza.
Se questo è in sintesi il dato politico principale della vicenda si deve però riflettere di più sul comportamento di un membro del Partito democratico, rappresentante eletto in una assemblea legislativa. Oggi è il caso della consigliera Bigon, domani possono essere altri. Oggi vengono addotte le ragioni dei democratici di ispirazione cristiana, domani si possono manifestare altre ragioni ideali e spirituali in un partito plurale. La riflessione da sviluppare non può riguardare questo caso specifico, del quale peraltro non si conoscono bene tutti i risvolti: attraverso quali passaggi e decisioni collegiali il Partito democratico veneto ha maturato la posizione poi espressa in aula? La consigliera Bigon si era espressa adeguatamente in un dibattito interno? Vi è stato un voto nel gruppo e/o nel partito che ha fatto maturare la posizione politica da sostenere in Consiglio regionale? Queste ed altre domande meriterebbero attente e circostanziate risposte e, quindi, analisi e valutazioni proporzionate sulla base dei fatti reali avvenuti.
Il tema più generale, per chi ritiene che la democrazia italiana ed europea sia più forte e intensa se animata da una ispirazione cristiana o comunque da valori spirituali che si rifanno a quell’umanesimo laico che anche nel mondo contemporaneo apprezza e rispetta la profondità umana del messaggio cristiano, è sempre quello della laicità della politica e dell’esigenza di non sfuggire a scelte normative difficili ma comunque necessarie in società sempre più complesse.
Aldo Moro, nell’ultimo discorso che fece ai Gruppi parlamentari prima della sua tragica fine, ebbe a dire che se pure “la testimonianza è la cosa più pulita e quindi più adatta a una coscienza cristiana”, tuttavia la via della testimonianza non è sufficiente a difendere e a promuovere gli interessi di quella vasta società civile che ha votato e vota per il partito democratico. Un partito che, poi, ha una intensa vocazione di governo del Paese non può fermarsi a testimoniare coscienze personali, né può inseguire per tattiche di sopravvivenza iniziative strumentali di soggetti terzi. La Corte Costituzionale ha già indicato al legislatore la strada da perseguire: garantire in tutto il Paese l’effettività delle cure palliative e l’accesso alle terapie del dolore, valorizzare sempre l’autodeterminazione della persona nella malattia, non punibilità di chi, nel rispetto assoluto di questa autodeterminazione, aiuta compassionevolmente il trapasso.
Il caso Bigon è serio perché marca il grave ritardo di una posizione forte e chiara, elaborata condivisa nel partito, ed espressa in Parlamento. I rappresentanti democratici di ispirazione cristiana non possono fermarsi alla testimonianza personale di una grande difficoltà, ma devono attivarsi più di altri per elaborare quelle poche regole essenziali idonee a tutelare la dignità della persona anche nella fase della sua fine, nel quadro di un potenziamento del Servizio sanitario nazionale. Nella società italiana è matura e ampia una sensibilità per accogliere con attenzione una proposta seria sul piano umano e della convivenza civile.