Fallito l’esperimento di centro del duo Calenda-Renzi, col seguito dei transumanti seriali ( Gelmini, Carfagna, Versace, Marattin) tipico di questa fase di dominante trasformismo politico, si presenta il nuovo duo Boldrin-Forchielli con il loro movimento Drin Drin.
È stato redatto un manifesto nel quale si enunciano le ragioni e gli obiettivi così: “L’Associazione Drin Drin nasce da una scommessa sugli italiani: siamo convinti che ve ne siano alcuni milioni disposti a farsi carico di riportare il paese su un sentiero di crescita economica, prosperità sociale e rinascimento culturale. Nello spazio di due mesi ben undicimila italiani hanno risposto positivamente alla nostra sfida dicendo “son qua, pronto a fare la mia parte” ed altre centinaia di risposte continuano ad arrivare”.
Ho letto con attenzione il loro documento e, come tutto ciò che va nella direzione della ricomposizione del centro nuovo della politica italiana, ritengo che non possa che essere valutato positivamente. Sul piano del metodo, credo che quanto si propongono i due amici sia interessante e opportuno; sul merito, si afferma che: “In termini politici si tratta di un partito che vuole collocarsi “in un’area, non voglio dire né di centro né liberale, noi ci collochiamo di sopra, con un approccio molto pragmatico. Sicuramente sui diritti civili siamo molto in là. Sull’economia abbiamo alcuni temi molto molto arditi, tipo abolire le Regioni, togliere ai vecchi per dare ai giovani e cose così”.
Alla domanda su un possibile appoggio al governo Meloni, ipoteticamente parlando, la risposta di Forchielli è significativa: “Per noi non importa che il gatto sia bianco o nero, basta che acciuffi i topi, non guardiamo al colore”. Quindi un nuovo partito che cerca di essere alternativo ai due poli, anche perché secondo Forchielli i competitor simili “vanno tutti a sparire, quelli che sono fuori dagli schieramenti. Al centro non vediamo grande concorrenza”. “Renzi confluisce nei Cinque Stelle e Calenda è bollito” ha concluso ironicamente”. A me sembra molto ambizioso, autoreferenziale e tale da sottovalutare il peso delle culture politiche ancora presenti anche in quel 50% di elettori renitenti al voto.
Il tema che ha sempre caratterizzato la storia politica italiana dall’unità d’Italia in poi, soprattutto dopo la fine del fascismo e nel dopoguerra, quale garanzia dell’equilibrio del sistema, è stato quello dell’esistenza di un centro politico capace di saldare gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari. Affermazioni come quelle da me riportare in obliquo del manifesto drin-drin, rivelano la ben nota impostazione liberal azionista che, pur dotata di una sua nobile serietà, tende a proporre una sorta di funzione autonoma auto sufficiente, non tenendo conto del fatto che essa, da sola, è sempre stata minoritaria nel nostro Paese. Le tre culture: liberale, come quella popolare e riformista, sono ciascuna di per sé necessaria, ma non sufficiente, se considerata singolarmente, per la costruzione del centro nuovo della politica italiana. L’errore più grande di Calenda, da me definito “l’azionista de noantri”, è stato quello, di professare sin dall’inizio una sorta di idiosincrasia democristiana, da lui dimostrata, prima, al momento del rinnovo del consiglio comunale di Roma (rifiutò l’accordo con la Dc, con quel ben triste risultato) e, successivamente, con l’impostazione velleitaria di un solipsismo liberal democratico laicista risultato ininfluente.
Credo che solo dall’alleanza delle culture che hanno contribuito alla nascita, difesa e sviluppo della democrazia italiana, a partire dal ruolo da loro svolto nella condivisione dei principi e delle norme della Costituzione repubblicana, ossia di quelle: popolare, liberale e riformista, potrà nascere il centro nuovo della politica italiana che, come ripeto da sempre, dovrà essere alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante dalla sinistra alla ricerca affannosa della propria nuova identità.
Permanendo l’attuale sistema elettorale maggioritario è evidente l’attrattività di un bipartitismo forzato che distorce la realtà elettorale, sino a garantire il governo a un partito espressione di una minoranza degli elettori e favorisce la tendenza ad anteporre il tema delle alleanze, a destra o a sinistra, rispetto a quella di un riconoscimento della propria identità di interessi e di valori al centro. Ecco perché la battaglia per il ritorno alla legge elettorale di tipo proporzionale sarebbe da perseguire, anche con una legge di iniziativa popolare o, come gli amici di Iniziativa Popolare stanno proponendo, con il cancellierato modello tedesco, in grado di salvaguardare con la centralità del parlamento, eletto con legge elettorale proporzionale, la governabilità attraverso lo strumento della sfiducia costruttiva.
Tutto ciò, dopo quanto sperimentato negli ultimi dieci anni, non potrà nascere dagli improbabili accordi di vertice tra protagonisti interessati soprattutto a sopravvivere, pronti a coordinare, ma mai disponibili a essere coordinati. Credo sia indispensabile ripartire dalla base (metodo bottom up), costruendo in ogni realtà locale dei comitati di partecipazione democratica, luoghi necessari per far emergere gli interessi e bisogni locali e in cui discutere dei temi locali e globali. Strumenti, infine, per selezionare con metodo democratico una nuova classe dirigente, di giovani dotati di passione civile.
Questo è ciò che auspico per l’area politico culturale a me più vicina, quella dei cattolici democratici, liberali e cristiano sociali, con l’augurio di trovare nelle diverse sedi – comunali, provinciali e regionali – interlocutori disponibili al dialogo, compresi gli amici dell’area liberal democratica e riformista.