È sempre difficile tracciare un bilancio di un mandato sindacale. Nello specifico, della segreteria generale della Cisl guidata in questi ultimi anni da Luigi Sbarra. Anni difficili per svariate e molteplici motivazioni. Dall’irrompere della pandemia al ritorno dei grandi conflitti bellici; dalla vittoria politica del primo governo di destra-centro alla crescente radicalizzazione del conflitto politico e culturale. Insomma, un insieme di tasselli che hanno richiesto un grande senso di responsabilità e una solida cultura di riferimento per cercare di affrontare al meglio i problemi che
di volta in volta si affacciavano all’orizzonte.
Ed è in questo contesto che si inserisce un possibile giudizio sul ruolo che concretamente ha esercitato la Cisl con il suo gruppo dirigente. Al di là di ogni opinione che si può e deve formulare, è indubbio che almeno su tre aspetti la Cisl a guida Sbarra ha saputo mantenere una forte e cristallina coerenza con la sua storia e la sua specificità.
Innanzitutto ha saputo conservare, con coraggio e lungimiranza, il suo profilo di soggetto autenticamente sindacale. Nessun cedimento nei confronti del governo di turno in carica, nessuna trasformazione in un movimento politico o, peggio ancora, in una sorta di partito e, men che meno, nessun ruolo di supplenza – o di egemonia – nei confronti di un partito o di una coalizione.
Lo possiamo dire con franchezza e con altrettanta chiarezza? L’esatta alternativa di quello che è diventata in questi ultimi anni la Cgil di Landini. Ovvero, non solo la storica e consolidata tradizione della “cinghia di trasmissione” con il principale partito della sinistra italiana – ieri il Pci e oggi il Pd – ma, addirittura, una sorta di portavoce di una intera collazione politica. Al punto che non si sa più se è il cosiddetto “campo largo” che detta l’agenda politica al sindacato di riferimento o se è la Cgil, con la Uil come ruota di scorta, se la detta alla coalizione progressista.
Insomma, e al riguardo, la Cisl era, ed è, l’esatto opposto di tutto ciò. In secondo luogo la Cisl è quel sindacato che ha sempre predicato e praticato la cosiddetta “contrattazione”. Perché lo storico “sindacato bianco” non ha mai rinunciato a questa sua originalità e specificità. Certo, per capirci ancora meglio, si tratta di un sindacato che non dichiara lo sciopero generale contro la manovra di bilancio del Governo prima ancora di averla letta e discussa con i lavoratori. E questo perché la Cisl di Pastore, di Macario e di Marini – per citare solo tre leader storici di questa organizzazione sindacale – ha sempre individuato nella contrattazione, e senza discriminazione alcuna nei confronti del potere politico o delle altre parti sociali, lo strumento decisivo per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e di tutti i cittadini.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, la Cisl in questi anni ha saputo anche confermare, seppure in una cornice politica, sociale e culturale profondamente frammentata e contraddittoria, le ragioni essenziali e costitutive della sua lunga e ricca storia sindacale. Una storia che poteva essere messa in discussione in qualsiasi momento se fosse prevalsa l’appartenenza – o la sensibilità o la simpatia – politica, e partitica, di alcuni suoi dirigenti e militanti rispetto al compito proprio che deve caratterizzare e accompagnare un’organizzazione sindacale laica e autonoma dai partiti e dal profilo politico degli stessi governi.
Ecco perché, quando si fa un bilancio seppur approssimativo della gestione di un mandato sindacale, l’elemento cardine e principale resta sempre quello di verificare concretamente il tasso di fedeltà, e quindi di coerenza, con gli aspetti specifici e costitutivi della sua storica cultura di riferimento. Tutto il resto è certamente legittimo ma del tutto secondario e marginale ai fini della credibilità, dell’autorevolezza e soprattutto della coerenza. In questo caso di un grande sindacato come quello della Cisl.