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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Dibattito | Dove porta la ‘superiorità morale’ della sinistra?

Quando viene posta come discrimine di fondo dell’agire politico, degenera nel giustizialismo e nell’accettazione supina della “via giudiziaria al potere”. Non è più tollerabile assistere passivamente a questa degenerazione.

Ci sono intere pagine su “Terza fase”, la storica rivista della ‘sinistra sociale’ della Democrazia Cristiana diretta prima da Carlo Donat-Cattin e poi da Franco Marini negli anni ‘80, dedicate alla cosiddetta e mai negata “superiorità morale” della sinistra italiana nei confronti degli avversari/nemici politici. Nello specifico, nei confronti della Dc e di ciò che ha rappresentato quel partito nella storia democratica del nostro paese. Ovviamente parliamo del Pci e della sua autorevole e qualificata, nonchè rappresentativa, classe dirigente dell’epoca. Un tic e una strategia che hanno accompagnato il comportamento e l’iniziativa politica della sinistra comunista – ma non di quella socialista, socialdemocratica o laicista – per tutta la durata della cosiddetta prima repubblica.

Strategia che poi si è trasferita meccanicamente nelle vicende della seconda repubblica seppur involgarendosi e con maggior virulenza. Anche per il venire meno di una classe dirigente che, checché se ne dica, era comunque prestigiosa sotto il versante politico e culturale. Ma è indubbio che il meccanismo perverso della “superiorità morale” nei confronti dell’avversario/nemico inevitabilmente innesca un meccanismo di delegittimazione politica del nemico che non può che essere finalizzato anche ad essere “processato” per il suo malcostume. E, non a caso, tutto si

lega in un disegno che non tollera un confronto civile ed un riconoscimento politico ma che coltiva, come obiettivo finale, l’annientamento finale del nemico. E quelle pagine di “Terza fase”, vergate non solo da Donat-Cattin ma, soprattutto, da Sandro Fontana e da molti altri dirigenti di quella sinistra Dc non prona ai voleri e ai diktat dei comunisti del tempo, hanno sempre evidenziato uno stile ed una degenerazione di natura politica che non poteva non avere delle precise e puntuali ricadute. Politiche e non solo politiche ovviamente. Basti pensare, per citare solo alcuni fatti concreti, all’odio riversato proprio su Donat-Cattin nel corso degli anni dalla dirigenza comunista per aver messo ripetutamente in discussione quella “superiorità morale” che i comunisti stessi hanno storicamente rivendicato nella concreta azione politica.

E quella “superiorità morale”, quando viene posta come discrimine di fondo dell’agire politico, è persin troppo evidente che degenera nel giustizialismo da un lato e nella accettazione supina della “via giudiziaria al potere” dall’altro. Forse è arrivato il momento, e anche al di là della collocazione politica dei singoli, che la cultura, il pensiero, la tradizione, la prassi e lo stile del cattolicesimo politico italiano – nella sua pluralità democratica, popolare e sociale – battano un colpo. Non è più tollerabile assistere a questa degenerazione passivamente e soprattutto silenti. Si può tranquillamente stare a sinistra ma senza condividere e supportare una deriva che era, è e resta radicalmente estranea a qualsiasi prassi democratica. E anche di natura costituzionale. Perché se non si arresta il disvalore della delegittimazione morale dell’avversario – che, tra l’altro, non dovrebbe mai essere un nemico da annientare e da abbattere – non ci si deve stupire che poi la ‘via giudiziaria al potere’ non diventa l’eccezione ma, semplicemente, la regola di comportamento nella conquista stessa del potere.