Le suggestioni e le riflessioni pubblicate su questo blog esigono un ragionamento, dentro una volontà di confronto, che non può né deve essere eluso. E se costruire una proposta politica significa inverare, sul piano della Storia, principi e valori in un quadro di proposta progettuale, può essere utile far precedere la riflessione da un analisi della contingenza storica che stiamo vivendo. In Europa, alla vigilia di elezioni importantissime, stiamo vivendo una fase nuova. Dalla frustrazione e nostalgia, e dalla sfiducia e risentimento degli anni Dieci, siamo entrati in una fase di risacca. I movimenti sorti come risposta alla crisi dei debiti sovrani e dei provvedimenti di austerità, imperniati da una retorica anti-sistema e da un tratto di contestazione profonda, sono diventati improduttivi sul piano elettorale.
Syriza in Grecia (che era stato salutato da chi oggi guida il Pd come il sol dell’avvenire europeo del Duemila), Podemos in Spagna, il Movimento 5 Stelle in Italia, ma anche l’UKIP di Nigel Farage, che fu la reazione a destra contro la globalizzazione e l’Unione Europea, mostrano tutti la corda. I populismi di destra e di sinistra hanno infiammato piazze e folle, ma non hanno saputo farsi proposta di governo. Di fronte a questo gli elettori rifluiscono o nell’astensione o nella restaurazione. Viviamo una specie di Termidoro europeo, che mette fine alla stagione dei giacobini per aprire la strada al ritorno della restaurazione. Guardiamo cosa succede in Grecia o in Italia, o cosa sta per accadere in Spagna. Il punto è – per rimanere alla metafora storica – che questa restaurazione non funzionerà. Lo vediamo oggi in italia: Pnnr al palo, sbarchi aumentati, legislazione mediatica e populismo giudiziario, bulimia di potere senza uno straccio di proposta modernizzatrice per il Paese, cristallizzazione di un sistema di rendite e corporativismi che inchiodano la nostra economia da decenni.
Qui sta il cuore dello spazio politico del centrismo riformista e democratico: creare le condizioni per le quali un elettorato moderato, riformatore e pragmatico non venga “arruolato” per assenza di alternative nelle file di una destra antimoderna e illiberale, e offrire una proposta politica un grado di assicurare che i moderati non rifluiscano nel conservatorismo e i riformisti non vengano risucchiati e silenziati dentro il massimalismo radicale. A tale proposito, preoccupa – e non poco – la deriva assunta da Pd all’indomani della vittoria della Schlein: da un lato si sposano le tesi dell’individualismo dei diritti, lasciando sullo sfondo il fondamentale richiamo ai doveri della solidarietà sociale, dall’altro si manifesta una tendenziale subalternità nei confronti della deriva culturale di matrice “travagliesca” del Movimento 5 Stelle che sulla giustizia, sulle riforme, sulla politica estera sembra essere impegnata ad una sfida continua al Pd dentro la consueta logica del “più uno”, che dai tempi di Bertinotti connota a sinistra ogni tentativo del massimalismo di soffocare le culture riformiste e di governo.
Ci troviamo così in uno schema opposto a quello della Prima Repubblica. Mentre la Dc raccoglieva voti moderati per orientarli politicamente verso il centrosinistra e le riforme di struttura, per fare avanzare la società, oggi la Destra raccoglie i voti moderati per attuare politiche identitarie e nazionaliste che faranno arretrare la società. E questo avviene perchè davanti all’offerta politica secca bipolare, il voto dei “non schierati” viene attratto dalla Meloni e non dalla Schlein, il cui partito ha perso ogni appeal per l’elettorato non schierato ideologicamente.
E, ancora una volta, qui sta il cuore politico dello spazio di un centrismo riformista. Che come tale, lo vorrei dire senza infingimenti, non può prescindere dal contributo e dalla presenza della cultura cattolico democratica. Non per una banale logica di captatio benevolentiae. Quanto, invece, per un basilare riconoscimento di un dato storico, che è inaggirabile: l’affermazione della democrazia, nel nostro Paese, è avvenuta con il contributo decisivo e profondo del cattolicesimo democratico, unito al riformismo liberaldemocratico e liberalsocialista, e grazie all’ intreccio di queste culture culturali e politiche si è assicurata l’evoluzione dei filoni politici della sinistra comunista e della destra missina, che nel corso della Prima Repubblica sposavano piattaforme regressive sotto il profilo dei valori democratici.
E come ci ha insegnato Pietro Scoppola, quello che è avvenuto in Francia, in Spagna o nel Regno Unito, con figure del cattolicesimo politico riformista di grande prestigio annegate dentro formazioni politiche di ceppo tradizionale socialista o liberale, non può avvenire in Italia per tre ragioni che si riassumono in tre parole: per la forza maggiore nel nostro Paese della tradizione politica cattolico democratica, per la debolezza della tradizione socialdemocratica e per il peso dell’eredità comunista nella nostra storia. Peso, inteso in termini di condizionamento culturale, che oggi riemerge in tutta la sua forza nel Pd, e che porta a concepire i riformisti cattolici del Nazareno non più come portatori di una cultura organica (oltre che fondativa del partito), ma come interlocutori occasionali con i quali aprire una dialettica dentro una dimensione di riconoscimento che assegna ai cattolici una funzione quasi lobbystica. (“Sì, ci sono anche i cattolici, parleremo anche con loro”, ha avuto modo di dire a Repubblica un influente membro della nuova segreteria, dando voce a un sentimento ampiamente diffuso a quelle latitudini, e affidando sostanzialmente alla cultura del riformismo cattolico una funzione di alterità rispetto alla riscoperta dell’originario filone dell’ ortodossia di sinistra).
Mentre il Nazareno torna al Patto Gentiloni, al centro si riparte con il confronto e la discussione. Che deve condurre alla costruzione di una soggettività italiana che sia figlia della Storia, della cultura politica e della tradizione riformista italiana. In questa accezione, l’esperienza di “Renew Europe” non va letta, e non deve essere vissuta, come un recinto nel quale entrare, quanto invece come un tessuto connettivo che può allargarsi ed espandersi dentro un terreno più ampio nel quale le culture sappiano farsi sintesi ed innervarsi dentro un reciproco ascolto e confronto. Va anche in questa direzione il documento approvato dai gruppi parlamentari nei giorni scorsi, che immagina la auspicata lista unitaria per le elezioni del prossimo anno da costruirsi “a partire” dall’esperienza di Renew Europe e del Partito Democratico Europeo. In fondo, è questo il lascito della grande stagione della laicità della politica, che richiede assunzione di responsabilità e capacità di mediazione alta. Davanti ai grandi temi della vita di oggi (dalla messa in discussione dei modelli democratici sul piano globale al futuro del personalismo davanti ad un progresso tecnologico che sfugge alla possibilità di ogni controllo, per dire le cose più grandi) c’è bisogno di un grande lavoro culturale e valoriale. C’è bisogno di un retroterra etico e politico. C’è bisogno di riserve alle quali attingere per evitare la deriva dell’Italia e dell’Europa. Insomma, c’è bisogno della sintesi delle migliori culture politiche riformiste d’Italia, con la capacità di fare politica. Esattamente quello che i cattolici democratici hanno saputo fare nella loro storia in Italia.
Ciriaco De Mita, una volta, ebbe a ricordarmi che nel primo dopoguerra Alcide De Gasperi seppe tenere insieme i democristiani che erano cattolici, i socialdemocratici che erano marxisti, i repubblicani che erano massoni e i liberali che erano anticlericali. E questo perchè mise al centro un pensiero politico di fondo forte e coerente su valori portanti come l’idea della democrazia e della libertà per la ricostruzione del Paese, l’atlantismo leale, l’europeismo come traiettoria identitaria, la politica economica fondata sulla crescita e la solidarietà. Questi valori li abbiamo tutti nelle nostre corde. È il momento storico di tornare a trafficare questi talenti. Insieme.