Dibattito | Il centro punti a guidare lo schieramento social-popolare.

“Agli amici di Insieme e Tempi nuovi”: l’autore della nota si rivolge a loro per rilanciare una modello istituzionale (alla francese) più adatto a garantire la governabilità del Paese.

In base alla mia lunga militanza politica, muovendo dalla Dc e arrivando fino al Pd, ho un’obiezione di fondo a riguardo di un ipotetico centro che rinunci in partenza a guidare uno di due poli. Penso per la precisione a quello social-popolare, asse portante per resistere in Europa alle pretese di egemonia di una coalizione ‘destra-centro’ sempre più aggressiva a parole quanto disposta a compromessi con i forti (ad esempio con il neo imperialismo russo).

Chi si oppone al pieno sviluppo del bipolarismo come antidoto alla crisi della democrazia, arrivando perciò a mummificare la Costituzione, non vuole porre rimedio alla parcellizzazione del sistema politico, che ha generato altrettanti aborti politici, con governi della durata media di un anno e mezzo ciascuno. Siamo di fronte a un sistema ‘non governante’ nel bel mezzo di processi epocali e ciò ha molto in comune con la nascita della V Repubblica francese. Ne dovremmo tener conto, sebbene con la premura di riannodare i fili della nostra storia più recente.

A parte il discorso, invero tuttora suggestivo, che nasceva dall’intuizione di Moro sulla democrazia compiuta, sarebbe utile ricordarsi ad adiuvandum de “Il cittadino arbitro” che, secondo Ruffilli, si erge sovrano nella scelta dei suoi rappresentanti e nella indicazione dell’alleanza abilitata a governare. Tutto il contrario, insomma, del regime berlusconiano dei nominati e quindi di quella casta contro cui nacque la reazione spavalda e irrazionale del M5S: da lì, come sappiamo, il taglio robespierriano dei parlamentari, con l’unico risultato di un depauperamento in termini di rappresentanza delle comunità locali medio-piccole.

Del resto, anche la bocciatura della riforma proposta da Renzi, sostanzialmente diretta al superamento del bicameralismo paritario e alla stabilizzazione dell’Esecutivo, non ha permesso di eliminare le distorsioni più gravi dell’ordinamento istituzionale.

Ora, basterebbe un po’ di umiltà e fare riferimento ai modelli esistenti in Europa, tra cui spicca il semipresidenzialismo alla francese. A mio parere andrebbe valutato attentamente per i suoi aspetti positivi. Conta molto il fatto che preveda anche la ‘coabitazione’ tra i vertici della repubblica qualora siano espressione di due maggioranze diverse (una derivante dall’investitura popolare del Presidente della repubblica, l’altra derivante dalla volontà del Parlamento a riguardo della formazione del governo).

Non si deve eccedere nei timori. Possibile che ormai la sagacia di un De Gaulle sia caduta nell’oblio? A chi gli rimproverava la tentazione dall’uomo solo al comando, come oggi per analogia si rimprovera alla Meloni per il suo progetto di premierato, il Generale rispose che in un Paese patria delle libertà sarebbe stata una tentazione votata a rapida sconfitta. Poi, certamente, un po’ di equilibrio va ricercato con intelligenza. In Italia è più che mai doveroso. Non basta prefigurare il fisiologico ricambio tra due schieramenti contrapposti, immaginando la loro intrinseca coerenza a dispetto delle esperienze registrate nel passato; occorre anche lasciare spazio alle forze intermedie affinché agiscano in funzione del contenimento delle spinte più radicali, ergendosi a momento di equilibrio.

Ebbene, un esempio di rispetto del pluralismo, contemplante questa irrinunciabile vocazione del ‘centro’, è dato ancora una volta dal sistema francese grazie alla legge elettorale a doppio turno con sbarramento al 15 per cento. Una soglia troppo alta? In Italia la si potrebbe  abbassare, sempre con l’occhio rivolto alla governabilità, forse non andando sotto il 10 per cento per evitare di riprodurre la frammentazione. Sarebbe anche un modo per incentivare un sano processo di aggregazione al centro e asseverare, in virtù di una consistenza elettorale di tutto rispetto, il prezioso ruolo di mediazione che una ‘terza forza’ può esercitare nella dialettica tra destra e sinistra. La democrazia, ordinata secondo regole di maggiore stabilirà e funzionalità, ne ricaverebbe un sicuro vantaggio.

 

 

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