Sì, ammetto di essermi sbagliato. Il futuro “campo largo” è proprio un “Fronte popolare”. Francamente pensavo che riproporre il 3° Fronte popolare nel nostro paese fosse la solita bufala patrocinata e proposta dalle tre sinistre italiane – quella radicale e massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 Stelle e quella estremista e fondamentalista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis – dopo quello del 1948 organizzato dai comunisti di Palmiro Togliatti e quello patrocinato dall’ex comunista Achille Occhetto nel 1994. E invece no, devo prendere amaramente atto che il campo largo non esiste perchè si tratta, appunto, di un Fronte popolare che viene costruito e messo a terra per battere il rischio di un fascismo risorgente, la deriva illiberale, la torsione autoritaria, la negazione delle libertà democratiche e di espressione e tutte le baggianate che ormai conosciamo quasi a memoria perchè vengono ormai snocciolati tutti i santi giorni in questi ultimi due anni.
Del resto, è appena sufficiente registrare ciò che dicono quotidianamente i capi dei tre partiti personali del “campo largo” – Italia Viva, Azione e i 5 Stelle – per rendersi conto che non si tratta di un progetto politico e, men che meno, di governo ma solo e soltanto di una sommatoria di sigle che si deve unire per battere un nemico giurato e implacabile e che, almeno così pare di capire, sia pericolosissimo per la conservazione della democrazia e delle libertà nel nostro paese. E questo perchè il capo di Azione, Carlo Calenda, dice che non farà mai parte del campo largo; il capo dei 5 Stelle, Giuseppe Conte, raccoglie applausi a scena aperta alla Festa dell’Unità quando solennemente dichiara che non andrà mai con Renzi e il capo di Italia Viva, Matteo Renzi, a sua volta rincara la dose dicendo tutti i giorni che se la coalizione di sinistra sarà guidata o condizionata eccessivamente da Travaglio e dai 5 Stelle lui andrà altrove.
Detto questo al mattino o al pomeriggio, alla sera tutti e tre i capi di questi partiti personali
concordano sulla necessità di dar vita al “campo largo” nelle tre regioni che a breve andranno al voto. E cioè, l’Umbria, l’Emilia Romagna e, soprattutto, la Liguria.
Ora, di fronte a questo concreto e tangibile comportamento politico – inattaccabile perché oggettivo – si impongono almeno due riflessioni finali. Innanzitutto ci troviamo di fronte ad un persin plateale atteggiamento trasformistico dettato unicamente da ragioni di potere. Nulla a che vedere con la cultura delle alleanze, con la cultura di governo e, men che meno, con una prospettiva politica condivisa a livello politico, culturale e programmatico. Appunto, solo e soltanto trasformismo e ipocrisia.
In secondo luogo, e questo è indubbiamente l’aspetto più grave di questo decadimento etico e culturale, è l’ennesima riduzione della politica ad uno scontro ideologico. Uno scontro ideologico – violento e senza sconti – che, però, avviene in un contesto dove le ideologie sono ormai tramontate da alcuni lustri. E questo segna, appunto, la crisi profonda ed oggettiva della politica e dei suoi strumenti, cioè i partiti o ciò che resta di loro.
Ecco perché, a fronte di questa doppia regressione politica e culturale, possiamo tranquillamente dire che ci troviamo di fronte ad un inedito “Fronte popolare” delle sinistre. Un “Fronte popolare” dove semplicemente la politica è assente perché l’unico elemento che conta, e che vale, è la sconfitta del nemico giurato ed ideologico. L’esatto opposto, cioè, di quella democrazia dell’alternanza frutto di un moderno e credibile bipolarismo che vengono quotidianamente predicati ma che poi vengono sistematicamente smentiti nella prassi comune dai capi dei partiti personali e non.