Dibattito | La Premier al bivio di un nuovo europeismo. Un azzardo?

Un cambio di rotta farebbe in Europa un gran bene alla Premier. Dovrebbe mettere sul piatto la rinuncia al suo discusso premierato. In cambio potrebbe fregiarsi del titolo di nuova europeista.

Bruciano i successi dei sovranisti in Europa, ma il senso delle proporzioni dovrebbe far tirare un sospiro di sollievo se importnnti segnali sono arrivati – mi riferisco al distinguo netto della Le Pen rispetto ai filonazisti tedeschi – a riprova della necessità di ricordare che ci sono limiti invalicabili tracciati da fiumi di sangue. Tuttavia questo impone che si favorisca un clima di confronto più attento alla dinamiche e alle inadempienze interne che hanno consentito la vittoria sovranista in Francia e in Germania. Nel nome della Francia ma in realtà dell’orgoglio personale, Macron ha scelto la strada della rivincita immediata con elezioni a stretto giro: forse un cambio di rotta come risposta al disagio sociale avrebbe consentito quell’allargamento del campo democratico di cui la Francia ha bisogno. 

È pur vero che il sistema francese induce in tentazione perché, se anche dovesse subire un’altra sconfitta, il sistema  consentirebbe a Macron di rimanere al suo posto di combattimento accetttando la coabitation con il Premier di un governo avverso. Mi risuona nella mente la frase classica della Meloni: “Se dovessi perdere sul premierato, la madre di tutte le battaglie, io comunque non me ne andrò!” Possibile allora che il suo stile “à la Macron” non la induca all’abbandono del premierato elettivo per entrare nell’orbita dei modelli sperimentati in Europa, tra i quali appunto il modello francese? 

A differenza del premierato, il semi-presidenzialismo garantisce l’equilibrio dei poteri dal momento che il Parlamento è riscattato dal servilismo indotto dalla raffica dei voti di fiducia, l’arma che permette al governo di imbrigliare tanto la maggioranza quanto la minoranza. Un cambio di rotta, anche alla luce di questa annotazione, farebbe un gran bene alla Meloni in Europa. Sa molto bene, infatti, di stare sotto osservazione non solo per i suoi rapporti con l’estrema destra, ma perché il suo premierato è considerato attrattivo per le democrature alla Orbán, suo sodale, per altro uscito malconcio dalle europee con un calo dell’otto per cento.

Con l’adozione del modello francese, la Meloni maturerebbe un credito tra gli europeisti a tutto tondo. E potrebbe far valere fino in fondo il suo appoggio alla von der Leyen, posto che la candidata del Ppe riesca a superare i veti espressi alla vigilia delle elezioni da socialisti e liberali. Questo è il quadro che si prospetta. Ora scatta la mia similitudine, azzardata ma non ironica. Nello sport, specie in atletica leggera, l’Italia ha conseguito molte medaglie grazie agli italiani acquisiti attraverso l’immigrazione, spesso italiani dalla nascita e riconosciuti tali molto tempo dopo. Ora, perché non includere tra gli europeisti di nuova generazione la Meloni, dandole in questo modo un medaglia di riconoscimento come parte integrante della maggioranza di Bruxelles? A mio giudizio sarebbe un gesto generoso, non privo di implicazioni positive, plausibilmente in linea con la politica democratica e inclusiva dei padri fondatori.