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martedì, Febbraio 11, 2025
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Dibattito | L’illusione del progresso: come ricucire il patto sociale?

La globalizzazione senza regole ha polarizzato la politica. È tempo di ricostruire un progetto inclusivo per rispondere alle sfide del futuro. Solo una politica di centro può ricomporre un modello di equilibrio sociale.

Il mio punto di vista, analizzando le posizioni – destra, centro, sinistra – di cui si parla, parte dalla la cultura liberale, con la quale si è fondata l’Italia unita, che nell’epoca attuale è stata superata e compressa da trent’anni di “globalizzazione senza regole”, che ha promosso l’accumulazione finanziaria nelle mani di un numero sempre minore di finanzieri, che governano attualmente il settore tecnologico, il settore della produzione delle armi, quello della ricerca sanitaria e in parte quello “alimentare alternativo”, inchiodando a tali scelte grandissima parte dell’umanità.

L’idea liberale, nata in Gran Bretagna e in Francia e teorizzata da Montesquieu, con la divisione dei poteri, e la definizione della “democrazia”, che non può prescindere dall’attribuire il potere delle scelte al popolo, alla fine del XX secolo viene gradualmente conculcata “a vantaggio” di un aspetto, anche importante, che è la “governabilità” e quindi l’azione dei governi, che dovrebbero “governare” per risolvere i bisogni del popolo.

Ma oggi i governi devono rispondere ai grandi centri di potere economico-finanziario internazionale, che fanno le scelte secondo le proprie esigenze di convenienza e pretendono il rispetto dei tempi, secondo una efficienza industriale e commerciale, i quali non possono essere rallentati dal lavoro parlamentare. 

Con l’opzione dell’efficientismo si instaura la dittatura finanziaria internazionale, alla quale non si sottrae, per molti aspetti, nemmeno l’UE, che ancora non ha trovato il modo e il tempo per democratizzare il ruolo della Commissione Europea, né ci sono governi di destra o di sinistra o di centro che hanno la forza di sottrarsi a questa dittatura.

Quindi, per questi aspetti, le disquisizioni tra destra e sinistra e centro sono un puro esercizio dialettico.

Peraltro, la classe politica internazionale ha tentato di “de-responsabilizzarsi” con la creazione di “autorità indipendenti” che scelgono e legittimano ogni genere di “tariffa sociale” (v. Energia in Italia) e ogni imposizione generalizzata (v. ultima proposta del regolamento dell’OMS, che pretende che le sue decisioni siano applicate obbligatoriamente erga omnes, superando il diritto degli Stati membri di decidere diversamente).

La responsabilità del sistema internazionale della “globalizzazione senza regole” è di tutti i governi di tutti i Paesi, che hanno aderito al WTO dalla costituzione ad oggi senza differenza di colorepartitico.

La “globalizzazione senza regole” è anche fautrice della “cultura woke” e bisogna dare atto a due filosofi Zygmund Bauman (la società liquida) e Gianni Vattimo, mio collega in PE, che parlava del “pensiero debole” della società attuale, che hanno teorizzato che si sarebbe formata una società, nella quale si sta realizzandovelocemente il “relativismo assoluto”, con licenza per l’ossimoro, che esprime la volontà di mettere in discussione tutti i principi esistenziali, anche quelli naturali, che valgono per tutti gli esseri viventi e non  solo per l’umanità (una Università statale italiana pretende di istituire un registro per i bambin*- l’asterisco evita la definizione del genere- dai 4 ai 14 anni per scegliere il sesso: un “registro gender”; siamo all’assurdo).

Perché la “globalizzazione senza regole” è responsabile della “cultura Woke”? 

Perché i sistemi produttivi hanno la necessità di semplificare i processi per velocizzare le produzioni e i consumi; i linguaggi devono essere uniformi e il linguaggio informatico con i processi digitali ha abituato a lavorare secondo schemi imposti agli utenti su scala mondiale.

È stato facile per il campo amministrativo, contabile, finanziario; sarà più difficile uniformare le abitudini, i gusti alimentari, dell’abbigliamento, anche se con la Coca-Cola, il Mc-Donald, il tessuto Denim sono state impiantate le fondamenta della creazione del presupposto dell’uniformità. 

Lo scoglio più difficile da eliminare è la cultura e la storia dei Paesi e delle comunità e a questo si è pensato di attivare la “cancelculture”, negando quello che è il presupposto essenziale dell’evoluzione, cioè lo scambio di conoscenza e di informazione tra diversi e, eventualmente, le possibili integrazioni.

Vi sono attualmente correnti di pensiero che ritengono che l’unica evoluzione possibile sarà quella dell’AI, che dovrà trovare i destinatari disponibili a recepire i risultati, che non potranno essere individualizzati, ma prevalentemente uniformi.

Il socialismo attuale, non so fino a che punto si possa chiamare tale, ha dovuto avere una ristrutturazione culturale – per usare una espressione eufemistica – dopo la caduta del Muro di Berlino e il fallimento del comunismo reale; in Cina il regime maoista è applicato nell’organizzazione statuale e sociale, mentre nel settore economico le regole imposte dal WTO sono quelle uguali agli altri Stati e quindi regole di mercato, oltretutto liberista.

Anche i governi a guida socialista hanno subito la “globalizzazione senza regole” e per molti aspetti ne sono stati i fautori, come l’arcipelago “liberal” degli Stati Uniti e per l’UE il fondamentalismo ecologico che ha messo in ginocchio tutto il settore industriale, con i risultati che registriamo.

Pertanto, il dibattito “destra-sinistra-centro” ha un senso se si ammette che la situazione politica mondiale ha radicalizzato le posizioni e quindi tanto la destra che la sinistra esprimono posizioni estremiste, radicalizzando anche la scelta elettorale di quel nucleo minoritario che va a votare.

Il centro è altra cosa; una espressione per definire il centro è “l’interclassismo” e le forze politiche di centro non si definiscono mai rappresentanti di una classe, come avviene per la destra e la sinistra (la classe dei padroni e la classe operaia).

Il ceto medio, che la “globalizzazione senza regole” ha impoverito e schiacciato nella parte bassa della scala delle classi, è rappresentato prevalentemente da quella parte di elettorato che non vota, perché non si riconosce nei radicalismi attuali – non solo in Italia, ma nel mondo – ; il ceto medio desidererebbe un “centro politico” di rappresentanza e mediazione tra le varie classi, che, al momento almeno in Italia, non c’è (i Partiti democristiani europei, a partire dalla Democrazia Cristiana, hanno sempre attuato “l’economia sociale di mercato” in UE e nei loro Paesi).

I dibattiti di Milano e di Orvieto, annunciati con grande propaganda, hanno rappresentato la sofferenza dei cattolici che si erano ritrovati nel PD, dopo la Margherita, e che non hanno più cittadinanza politica con la segreteria Schlein.

Né penso che tale convivenza attualmente sia possibile, perché il radicalismo delle posizioni attuali del PD e di tutta la sinistra non potrà avere delle convergenze da parte dei cattolici, almeno nell’ambito gender, eutanasia, e in tutta quella specifica prospettiva del transumano e del postumano; i cattolici e in generale i cristiani, non possono assolutamente prescindere dall’affermare la primazia della tutela dell’umanità all’interno della tutela del Creato.

È da apprezzare la posizione attuale di Forza Italia, il cui segretario si presenta a Caltagirone per ricordare la nascita del Partito Popolare di Luigi Sturzo; comunque resta ancora da fare molto a questo partito, perché attualmente è alleato con i Patrioti di Orban che sono contro l’UE.

Penso che sia necessario declinare un progetto di società diverso dall’attuale, dove i cittadini abbiano la possibilità di confrontarsi in partiti politici democratici (oggi non lo sono; sono partiti personali); possano discutere delle scelte future della società per consentire che tutti abbiano la possibilità di accedere sempre ai massimi livelli sociali.

Per realizzare questo sarà necessario ripensare tutti il sistema dei rapporti di lavoro, anche prevedendo una partecipazione con un azionariato diffuso; tutto il sistema previdenziale, alla luce dei sistemi lavorativi, nella prospettiva dell’aumento della speranza di vita; bisognerà ridurre drasticamente il precariato e prevedere nella mobilità del lavoro la tutela del lavoratore nel periodo di vacanza, modificando il sistema della disoccupazione; bisognerà valutare la riforma del sistema del credito, per favorire il tessuto delle piccole e medie aziende.

Sarà necessario ridimensionare il gigantismo economico (perché la regola Too big to fail non è valsa negli USA per Lehman Brothers, né in Cina per Evergrande Group) e limitare su scala mondiale la percentuale di commercio del settore rispetto al livello mondiale (la percentuale del 10% fissato dall’UE per la commercializzazione di un prodotto mi sembra troppo alta; infatti, dieci aziende si possono mettere d’accordo e coprire con un oligopolio tutto il mercato, escludendo tutte le altre).

Questi sono alcuni punti per una politica di centro, ai quali vanno aggiunti quelli che riguardano l’aspetto sociale, della organizzazione dei servizi, della ridefinizione dei compiti degli EE.LL. e delle risorse per farvi fronte.

Solo alcuni cenni di programma, perché un programma serio deve essere costruito con gli operatori dei settori, che si assumano la responsabilità di portare avanti quanto condiviso e deciso.

Questa è la mia proposta per discutere di “centro”; altro mi appare superficiale.