Nel 2007 Valter Veltroni, e con lui la segreteria nazionale del partito, teorizzò un “Pd a vocazione maggioritaria”. Ovvero, in una cornice bipolare e tendenzialmente bipartitica, il Pd si candidava a diventare l’asse pigliatutto dello schieramento di centro sinistra alternativo al centro destra. E, dopo il fallimento, peraltro annunciato, dell’Unione di prodiana memoria, si teorizzò che un partito, appunto il Pd, dovesse diventare il perno fondamentale dello schieramento progressista. Politicamente ed elettoralmente autosufficiente. Al punto che per mesi sia sostenne apertamente la tesi di non fare alleanze con altri partiti o cespugli o gruppi ai fini del potenziale governo del paese. Una tesi, questa, che poi fu misteriosamente messa in discussione perchè si siglò un’alleanza con il partito personale di Antonio Di Pietro, Italia dei valori.
Ma, per tornare all’oggi, è di tutta evidenza che, mutatis mutandis, la tesi della vocazione maggioritaria del Pd è uscita dalla porta ma rientra dalla finestra. E il recente voto in Umbria e in Emilia Romagna, ma anche già in Liguria, dimostrano in modo persino plateale – e senza scomodare politologi e sondaggisti – che attorno al Pd inizia a crescere il deserto. Sotto il profilo eletturale, come ovvio. Detto con altre parole, alla progressiva ed esponenziale crescita di consensi del Pd si ridimensiona l’apporto, e il peso, degli altri partiti. Al netto della sinistra estremista e fondamentalista di Fratoianni e Bonelli, che comunque ha già ottenuto il picco dei consensi con la vicenda Salis alle europee, è altrettanto chiaro che il Pd è destinato a prosciugare elettoralmente il campo progressista con la sua robusta e massiccia presenza. Non sapendo, ad oggi, quale sarà l’epilogo finale dei 5 stelle alle prese con una violenta disputa interna, il cosiddetto Centro da quelle parti semplicemente non esiste più. Dando per scontato che il futuro dei due partiti personali di Renzi e di Calenda – anche alla luce dei risultati concreti nelle ultime tre consultazioni regionali, per non parlare del voto europeo – è quello di confluire all’interno del Pd, chi si riconosce nel Centro nello schieramento progressista sarà semplicemente inglobato dal Pd. Tesi, questa, non virtuale ma che emerge in modo plastico dagli elettori.
Un Pd, però, guidato dalla Schlein, cioè da una leadership che ha un chiaro, netto e del tutto legittimo profilo di una sinistra radicale e massimalista e, sul versante culturale, di impronta libertaria. E non è un caso, del resto, che la proposta di avere un Centro nella coalizione progressista sia guidato, pianificato e gestito proprio dai vertici del Pd. Una concezione cara alla tradizione comunista che prevede la presenza dei cosiddetti “partiti contadini” che vengono “inventati” dall’azionista di maggioranza a garanzia e a conferma della natura plurale della coalizione.
Ma, al di là di questa oggettiva considerazione, quello che non si può non cogliere è che la tradizionale “vocazione maggioritaria” del Pd, anche se non viene più caldeggiata e sbandierata platealmente, nei fatti è riemersa. E, forse, questo è anche un elemento che contribuisce a fare chiarezza nella geografia politica italiana. E questo, sia chiaro, grazie al progetto e al profilo politico, culturale e programmatico del Pd a guida Elly Schlein.