C’è una specialità che appartiene di diritto al cosiddetto ‘campo largo’. Si tratta del numero dei ‘federatori’ della fantomatica area centrista. Ad essere sinceri, abbiamo anche perso il numero delle sigle centriste che affollano quel campo. A naso sono una dozzina. Ma non è questo l’elemento che conta. Semmai impressiona la cosiddetta ‘disponibilità’ crescente a federare quell’area. Veramente. Cresce di mese in mese e la loro disponibilità è pari, se non addirittura superiore, ad essere anche e semplicemente il federatore dell’intero campo largo. Che, come sanno anche i sassi, si regge sul peso determinante e decisivo delle tre sinistre. Quella radicale e massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 Stelle e quella estremista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis. I nomi dei federatori ormai si sprecano. Dal simpatico Ruffini a Gentiloni, da Renzi – che non lo dice ma lo auspica, come ovvio – a Calenda, da Guerini all’ultimo arrivato, il Sindaco di Milano Sala. Senza contare gli esponenti della società civile che, se dovessimo
enumerarli tutti, non basterebbe un articolo di cinquemila battute.
Ora, al di là di questa positiva e concreta disponibilità a federare tutto ciò che si può federare, restano due punti irrisolti. Il primo è che nessuno ha ancora spiegato con la necessaria chiarezza e franchezza perché la segretaria del principale partito della coalizione non dovrebbe essere il candidato a Premier. Una regola che non è un dogma ma che, comunque sia, va spiegato – possibilmente con argomentazioni politiche – alla segretaria del Pd Elly Schlein che, non a caso, non ha ancora mai commentato questi ripetuti atti di generosità cristiana e laica dei vari federatori.
In secondo luogo, cresce la sensazione che un Centro riformista, democratico e di governo ha poco spazio da quelle parti. E questo non per sostenere la tesi che nella coalizione alternativa il Centro è l’assoluto protagonista. Ma è di tutta evidenza che quando ci sono molti federatori, molteplici partiti, svariate sigle e tutti insieme non riescono ad elaborare un progetto politico sufficientemente condiviso ed unitario, la conclusione è persin troppo facile da trarre. Manca, cioè, quella intuizione e quel progetto che in un’altra stagione si poteva chiamare tranquillamente Margherita e, addirittura, mancano anche le concrete condizioni per far decollare un semplice Partito Popolare Italiano. E questo perché? Molto semplice, anzi addirittura banale. Perché sono cambiati, e profondamente, il profilo, la natura, la sostanza e lo stesso progetto politico, culturale
e di governo della coalizione di riferimento. Cioè, appunto, il cosiddetto ‘campo largo’.
Ecco perché l’ennesima disponibilità in ordine di tempo, quella del sindaco di Milano Sala, corre il rischio di andare ad aggiungersi a tutte le altre. Con la certezza, non profetica ma realistica, che le singole disponibilità a federare il campo centrista continueranno a crescere in modo esponenziale e, con loro, anche le sigle e i partitini di riferimento. Con l’auspicio, e lo dico senza alcuna malizia o preveggenza, che alla fine della giostra ci sia un posto in Parlamento per i rispettivi federatori e i “propri cari”, per mutuare una ormai celebre espressione andreottiana.