Un dibattito che viene da lontano
Negli anni ’80 c’era un dibattito vivace, e anche un confronto molto acceso, nel mondo cattolico italiano tra i sostenitori della “cultura della presenza” e i fautori della “cultura della mediazione”.
Il primo fronte, per così dire, era guidato dal movimento di Comunione e Liberazione e, soprattutto, dal suo braccio politico e operativo che era il Movimento Popolare. Nello specifico, erano i paladini della riaffermazione dell’identità cattolica, soprattutto di fronte a un impetuoso vento che soffiava e che si può sintetizzare nel termine di secolarizzazione.
A questa corrente, ben radicata nell’area cattolica italiana, si contrapponevano i cattolici che aderivano e propugnavano la cosiddetta “cultura della mediazione”. Una corrente interpretata dai cattolici democratici, o cattolici progressisti: cattolici più disponibili e più orientati al dialogo e al confronto con le altre culture e con i nuovi filoni di pensiero che avanzavano in una società tendenzialmente post-ideologica.
Cosa è cambiato?
Ora i tempi sono irrimediabilmente cambiati, ma alcune costanti riemergono dal passato.
Seppure, come si suol dire, mutatis mutandis. Il mondo cattolico, di fatto, non esiste più nella sua organicità; la secolarizzazione della società è ormai un fatto strutturale e permanente e, di conseguenza, sono mutati radicalmente i termini della contesa.
Eppure, le categorie della “presenza” e della “mediazione” sono riemerse come un fiume carsico e, soprattutto, continuano a condizionare il dibattito nella società contemporanea. Certo, con altre sfide e di fronte a uno scenario molto diverso rispetto a quello del passato. Ma, del resto, com’è naturale che sia.
Identità o adattamento?
Perché oggi la vera sfida – almeno per noi cattolici, ma non solo per i cattolici, come è ovvio e persino scontato – è capire se difendere la nostra identità culturale, spirituale, democratica e soprattutto occidentale sia ancora una scommessa possibile, oppure se dobbiamo adeguarci, e rassegnarci, a un “nuovo corso” di cui non si sa ancora bene dove possa approdare.
In forma radicalmente diversa rispetto a un passato anche solo recente, si tratta dunque di capire se dobbiamo riaffermare – guarda un po’ – le ragioni della “presenza”, e quindi della difesa di un’identità sempre più sbiadita e a tratti persino indecifrabile, oppure se dobbiamo privilegiare le ragioni di una rinnovata “mediazione” con altre culture, altre religioni, altri sistemi politici e statuali radicalmente diversi, se non addirittura alternativi, rispetto al tradizionale modello occidentale, sul piano culturale, sociale, religioso e politico.
Una sfida che riguarda l’Europa
Ecco perché le categorie di “presenza” e “mediazione” sono destinate, curiosamente, a rinnovarsi e a riproporsi nello scenario politico contemporaneo. Non solo a livello nazionale, ma anche e soprattutto sul versante europeo.
Alla fine, il vero nodo da sciogliere – forse oggi più di ieri – resta quello di lavorare per difendere, seppure rinnovandola, la nostra identità, oppure di limitarsi a svenderla progressivamente ma irreversibilmente. La sfida è epocale, e il metodo scelto per affrontarla – “presenza” o “mediazione” – non è affatto secondario.
Il passato, anche quando lo si vorrebbe cancellare o rimuovere, è destinato a riemergere in tutta la sua complessità.

