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martedì, 30 Dicembre, 2025
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Difendere l’identità non è integralismo

Il dibattito su “presenza” e “mediazione” costituisce un nodo che ritorna nel dibattito pubblico, sia in ambito cattolico che nel contesto di un occidentale ormai segnato dalla secolarizzazione.

Un dibattito che viene da lontano

Negli anni ’80 c’era un dibattito vivace, e anche un confronto molto acceso, nel mondo cattolico italiano tra i sostenitori della “cultura della presenza” e i fautori della “cultura della mediazione”.

Il primo fronte, per così dire, era guidato dal movimento di Comunione e Liberazione e, soprattutto, dal suo braccio politico e operativo che era il Movimento Popolare. Nello specifico, erano i paladini della riaffermazione dell’identità cattolica, soprattutto di fronte a un impetuoso vento che soffiava e che si può sintetizzare nel termine di secolarizzazione.

A questa corrente, ben radicata nell’area cattolica italiana, si contrapponevano i cattolici che aderivano e propugnavano la cosiddetta “cultura della mediazione”. Una corrente interpretata dai cattolici democratici, o cattolici progressisti: cattolici più disponibili e più orientati al dialogo e al confronto con le altre culture e con i nuovi filoni di pensiero che avanzavano in una società tendenzialmente post-ideologica.

Cosa è cambiato?

Ora i tempi sono irrimediabilmente cambiati, ma alcune costanti riemergono dal passato.

Seppure, come si suol dire, mutatis mutandis. Il mondo cattolico, di fatto, non esiste più nella sua organicità; la secolarizzazione della società è ormai un fatto strutturale e permanente e, di conseguenza, sono mutati radicalmente i termini della contesa.

Eppure, le categorie della “presenza” e della “mediazione” sono riemerse come un fiume carsico e, soprattutto, continuano a condizionare il dibattito nella società contemporanea. Certo, con altre sfide e di fronte a uno scenario molto diverso rispetto a quello del passato. Ma, del resto, com’è naturale che sia.

Identità o adattamento?

Perché oggi la vera sfida – almeno per noi cattolici, ma non solo per i cattolici, come è ovvio e persino scontato – è capire se difendere la nostra identità culturale, spirituale, democratica e soprattutto occidentale sia ancora una scommessa possibile, oppure se dobbiamo adeguarci, e rassegnarci, a un “nuovo corso” di cui non si sa ancora bene dove possa approdare.

In forma radicalmente diversa rispetto a un passato anche solo recente, si tratta dunque di capire se dobbiamo riaffermare – guarda un po’ – le ragioni della “presenza”, e quindi della difesa di un’identità sempre più sbiadita e a tratti persino indecifrabile, oppure se dobbiamo privilegiare le ragioni di una rinnovata “mediazione” con altre culture, altre religioni, altri sistemi politici e statuali radicalmente diversi, se non addirittura alternativi, rispetto al tradizionale modello occidentale, sul piano culturale, sociale, religioso e politico.

Una sfida che riguarda lEuropa

Ecco perché le categorie di “presenza” e “mediazione” sono destinate, curiosamente, a rinnovarsi e a riproporsi nello scenario politico contemporaneo. Non solo a livello nazionale, ma anche e soprattutto sul versante europeo.

Alla fine, il vero nodo da sciogliere – forse oggi più di ieri – resta quello di lavorare per difendere, seppure rinnovandola, la nostra identità, oppure di limitarsi a svenderla progressivamente ma irreversibilmente. La sfida è epocale, e il metodo scelto per affrontarla – “presenza” o “mediazione” – non è affatto secondario.

Il passato, anche quando lo si vorrebbe cancellare o rimuovere, è destinato a riemergere in tutta la sua complessità.