Difesa, il nuovo piano Ue per aumentare la capacità industriale

Bruxelles, 5 mar. (askanews) – “Due anni fa, presentando la ‘Bussola strategica’ dell’Ue, dissi “l’Europa è in pericolo’. Purtroppo avevo ragione. L’Europa era in pericolo, ed è ancora più in pericolo oggi. La pace non è più scontata, purtroppo. La guerra è ai nostri confini. La guerra di aggressione della Russia ha suscitato un grande senso di urgenza per rafforzare le nostre capacità industriali della difesa”. L’Alto Rappresentante per la Politica estera comune dell’Ue, Josep Borrell, lo ha affermato in modo chiarissimo: non possiamo più affidarci alla normalità a cui eravamo abituati, alla pace certa, sotto l’ombrello americano.

Borrell ha parlato oggi a Bruxelles, durante la conferenza stampa di presentazione di due nuove iniziative della Commissione europea: la nuova “Strategia europea per l’industria della difesa” (Edis), e la proposta legislativa per un Programma europeo per l’industria della difesa (Edip), con l’obiettivo di convincere gli Stati membri a investire in questo settore di più, meglio, insieme e in una dimensione europea, superando la frammentazione attuale.

La guerra in Ucraina, alle nostre porte, ha cambiato tutto; ora l’Europa deve tornare a pensare a una vera e propria difesa comune, come alle sue origini, quando la Ced (Comunità europea di Difesa) sembrava la seconda tappa naturale dell’integrazione europea appena avviata, dopo la Comunità del Carbone e dell’Acciaio: il Trattato Ced era già stato firmato dai sei paesi fondatori, ma in Francia, nell’agosto del 1954, il Parlamento bocciò la ratifica, e il progetto rimase là, accantonato per 70 anni. Oggi la guerra è tornata nel cuore dell’Europa, alle nostre porte, la minaccia esistenziale è tornata, bisogna preparare, rafforzare e coordinare al meglio le capacità di difesa degli Stati membri. Non attraverso un esercito europeo, non ancora almeno; ma con una forte accelerazione della produzione di armamenti e altri dispositivi militari, e con l’ottimizzazione e standardizzazione di questa capacità produttiva per avere il massimo dell’efficacia, della sinergia e degli effetti di scala. Il piano presentato oggi prevede uno stanziamento Ue da 1,5 miliardi di euro, da investire tra il 2025 e il 2027 in un programma congiunto per l’industria europea della difesa. Non molto, in effetti, rispetto a esigenze così importanti. E non è ancora il momento di parlare di un nuovo strumento di debito comune, come è stato per il NextGenerationEu e per il programma Sure.

Vengono comunque fissati degli obiettivi indicativi per gli Stati membri, che sono invitati a procurarsi entro il 2030 almeno il 40% dei loro armamenti e dispositivi militari effettuando acquisti in comune con gli altri Stati membri (nel 2022 la percentuale di questi appalti congiunti è stata appena del 18%), e a comprare sul mercato interno dell’Ue almeno il 35% delle loro forniture.

Quella in Ucraina, ha ricordato Borrell, “all’inizio era una guerra fatta con le scorte” di armamenti. Ora è diventata “una guerra di produzione industriale. Dura da due anni, non sembra che finirà presto e il fabbisogno di attrezzature militari è andato aumentando, mentre le scorte sono andate esaurendosi e stiamo incrementando la capacità della nostra produzione industriale. Questa guerra ha cambiato il modo in cui guardiamo alle nostre capacità di difesa”, ha insistito l’Alto Rappresentante.

Certo, ha ammesso Borrell, “l’Unione europea non è un’alleanza militare; ma i Trattati Ue parlano di costruire una politica di sicurezza e di difesa comune. E parte di questa politica di sicurezza e difesa comune è avere una buona ed efficiente base industriale”.

“Abbiamo fatto molto attraverso lo Strumento europeo per la pace (il fondo con cui sono stati finanziati in gran parte gli aiuti militari a Kiev, ndr) per fornire ciò che avevamo. Ora dobbiamo passare da una modalità di emergenza, di urgenza; a una visione a medio e lungo termine che rafforzi la nostra preparazione industriale nel campo della difesa, per continuare a fornire sostegno militare all’Ucraina. Non si tratta più di guardare alle scorte – ha puntualizzato Borrell -, ma di riuscire a generare un flusso produttivo continuo”.

“Sulle munizioni, ad esempio, l’industria ha risposto rapidamente all’emergenza. Dall’inizio della guerra – ha indicato l’Alto Rappresentante – l’industria europea della difesa ha aumentato la propria capacità industriale del 50%. E oggi quello che ci manca non è la capacità produttiva, ma i finanziamenti. Ma guardando al futuro, abbiamo bisogno anche di maggiore capacità produttiva: deve ancora aumentare di più del 50%, e più rapidamente, e i finanziamenti sono fondamentali. Non abbiamo un Pentagono in Europa. Non abbiamo un’istituzione con una forte capacità d’acquisto che guida il mercato e guida l’industria”.

“Ma dobbiamo fare di più, non solo sul fronte delle munizioni. Abbiamo bisogno – ha sottolineato Borrell – di una politica industriale della difesa, perché l’industria della difesa è unica. Non si va al supermercato per comprare prodotti per la difesa. C’è un unico acquirente: i governi. I produttori sono diversi, ma il 90% della capacità industriale del settore è concentrata in pochi Stati membri”.

“Prima della guerra – ha indicato – la nostra industria della difesa soddisfaceva circa il 40% del fabbisogno dei nostri eserciti ed esportava circa la metà della sua produzione. Pertanto, il nostro settore è competitivo: metà della sua produzione era destinata all’esportazione. Ma dall’inizio della guerra, il nostro bisogno di acquistare all’estero è aumentato”.

“La nostra domanda è frammentata, ovviamente perché abbiamo eserciti nazionali diversi. Siamo divisi in 27 Stati membri, con 27 eserciti diversi”. Nel 2022, ha ricordato ancora Borrell, “gli investimenti nella difesa dei nostri Stati membri ammontavano a 58 miliardi di euro, frammentati in 27 ‘centri di domanda’. Negli Stati Uniti uno solo, il Pentagono, chiedeva al mercato 215 miliardi di dollari, quasi quattro volte di più”.

Poco prima di Borrell, la vicepresidente esecutiva della Commissione responsabile per la Concorrenza, Margrethe Vestager, aveva sottolineato questo punto. La frammentazione, aveva rilevato, “implica grandi inefficienze e un uso inefficiente del denaro dei contribuenti. Inoltre gli Stati membri spendono per molti diversi tipi di dispositivi militari: così abbiamo tre, quattro, a volte anche cinque diversi tipi di dispositivi per ogni arma”, una situazione “da confrontare con quanto avviene in particolare negli Stati Uniti”.

“Questo – aveva aggiunto Vestager – crea delle inefficienze, dei doppioni, impedisce di avere delle economie di scala, che offrono più valore per il denaro speso. Inoltre, fin dall’inizio della guerra, e fino a giugno 2023 gli Stati membri hanno speso più di 100 miliardi di euro in acquisti per la difesa, ma quasi l’80% di questo denaro è stato speso al di fuori dell’Unione, e gli Stati Uniti da soli rappresentano più del 60% di questa spesa. Tutto ciò non è più sostenibile, se mai lo è stato”.

Ma ora, ha evidenziato Borrell, questa strategia della Commissione “cerca di far incontrare domanda e offerta, attraverso procedure per investire di più, meglio, insieme e come europei. Dobbiamo superare la frammentazione attraverso la cooperazione”. Questa strategia, ha concluso Borrell “cercherà di incentivare l’acquisizione congiunta di capacità di difesa e progetti di comune interesse europeo”.