Articolo pubblicato sulla newsletter n.12 di ottobre 2019 (Argomenti 2000) a firma di Ernesto Preziosi

Una prima riflessione riguarda il voto di domenica scorsa e la situazione politica. Occorre riflettere sul risultato negativo del centro sinistra (frutto anche di fattori locali ma indicativo della crisi di una sinistra appesantita da gruppi di potere) e prendere atto che, in questa fase, la destra ha superato i confini del suo perimetro tradizionale. Basta guardare un grafico che riporti i dati elettorali degli ultimi venti anni, per vedere come nei consensi elettorali la destra sia andata crescendo con un’onda lunga e oggi si sia stabilizzata con caratteristiche ben più estreme del passato. È un problema reale con cui fare i conti non tanto per demonizzare chi esprime il consenso in quella direzione ma per cogliere i motivi che hanno estremizzato ed esasperato il voto. Più segnali tra l’altro lanciano un allarme su forme di autoritarismo e di vero e proprio neofascismo che debbono preoccupare, che non possono essere derubricate a fenomeni marginali, quasi a forme goliardiche. Avvengono infatti in un quadro internazionale che presenta preoccupanti analogie.

A fronte di una destra che si è compattata e in cui ciò che resta del berlusconismo si appresta a svolgere un ruolo ancillare, ormai non più competitivo sul centro moderato, il centrosinistra presenta troppi elementi di frammentarietà. Una crisi di identità e di progetto politico che, se non risolta, toglie ogni premessa ad un’alternativa fondata. Occorre per prima cosa un atto di chiarezza politica che si focalizzi sui contenuti e sul personale politico e che, nell’essere propositivo, sia capace di eliminare per quanto possibile lo stillicidio continuo, tanto personalizzato quanto inconcludente, di dichiarazioni.

Non è cosa da poco. E questo vale ancor più per un centrosinistra che è oggi parte di un’alleanza di governo che presenta insidie e difficoltà, ma che era l’unico modo per evitare legittimamente un ritorno alle urne che avrebbe aperto la strada ad un governo di destra, con tutto ciò che ne sarebbe seguito. Il centrosinistra e il PD in particolare, non possono sostenere questa maggioranza solo per evitare le urne, sarebbe inutile e suicida. Vi sono due compiti che invece possono essere svolti. In primo luogo occorre operare scelte mirate e decise nelle politiche economiche e sociali che diano agli italiani il senso di un cambiamento di passo, di uno sviluppo possibile mantenendo livelli di dignità umana, costruendo un bene comune solidale. In secondo luogo occorre la consapevolezza del fatto che l’aver dovuto scegliere di andare al governo con i 5stelle può costituire l’innesco di un processo di parlamentarizzazione se non di democratizzazione (nel senso di una democrazia rappresentativa) di un movimento nato sull’onda dell’antipolitica e di una demagogica democrazia diretta. Un processo difficile, certo, che potrà costare ai 5stelle la perdita di pezzi consistenti di consenso ma che può far fare loro un salto di qualità e che acquisirebbe alla scena politica un partito diverso con cui sarebbe più normale allearsi in una visione strategica comune e con programmi politici condivisi, dando così una prospettiva al centrosinistra.

Rispetto a tutto ciò il PD ha precise responsabilità in questo momento ed è necessario che esca dall’incertezza che rischia di farlo vivacchiare nel percorso governativo, paradossalmente lasciando l’iniziativa solo ai 5stelle, subendo inoltre gli attacchi quotidiani da parte del suo gruppo parlamentare che, con un’operazione che poco risponde alla logica politica, ha scelto, dopo aver spinto il PD a formare il governo, di uscire dal partito per andare a coprire un’area per certi versi scoperta. Vi sono appuntamenti vicini che consentiranno di vedere se il PD è in grado di uscire dall’impasse. Da parte nostra continueremo a seguire questa evoluzione così come cercheremo di essere attenti a quanto si muove nello scenario politico offrendo un nostro contributo. Sempre che il PD scelga con chiarezza di essere un partito plurale riconoscendo alle culture politiche, più che ai piccoli gruppi di potere correntizio, legittimità di presenza e anzi pieno diritto a contribuire all’elaborazione della linea e alle proposte del partito.

La crisi della sinistra

La crisi del centrosinistra è, in gran parte, la crisi della sinistra e/o delle sinistre. Non è solo una questione italiana, si tratta infatti di fenomeno riconoscibile in molti altri paesi. Cosa è accaduto? I profondi cambiamenti sociali e la crisi delle ideologie hanno lasciato un vuoto coperto in vari modi (ad esempio dalla ricerca di figure carismatiche), ma hanno indebolito la proposta politica.

Lo notava Dario Di Vico, in un suo articolo, apparso sul supplemento culturale “La Lettura” del Corriere della Sera del 6 ottobre con il titolo: “Senza sogni la politica non vive”. Il tema è centrale e tocca il compito della politica, a cui non è chiesto solo di proporre soluzioni ai problemi, bensì di saper coinvolgere in un disegno in un progetto attraverso cui intervenire sulla realtà.

Ma se la cultura latita, se la politica si riduce a tatticismo, a spettacolo, a battute, come è possibile che rappresenti un sogno capace di mobilitare energie e passioni, impegno e partecipazione? Ci si può solo limitare ad essere tifosi di questo o quel personaggio, che magari si sfidano in mediatica tenzone. Ma chi di noi, a mente fredda può pensare che questa sia la strada per affrontare i nodi del presente e per assicurare la prospettiva di un futuro vivibile per le prossime generazioni?

Vediamo una destra irrigidita in posizioni sterili ma capaci di raccogliere larghi consensi immediati, un centro incerto appeso a possibili starter che possono venirgli da una scelta in senso proporzionale della futura riforma elettorale, e una sinistra in crisi di identità che fatica a ingranare la marcia giusta e rischia di mettere la retromarcia. Stare fermi, o ripiegare, pare essere una modalità apparentemente più sicura anziché raccogliere la sfida che il centrosinistra aveva saputo accettare quando si è messo sulla strada dell’ulivismo prima e del Partito Democratico poi. Ma è di lì che occorre ripartire per tracciare il nuovo percorso. Una strada nuova per una società completamente rimescolata da profondi cambiamenti intervenuti e in gran parte ancora in atto. Un PD che si ponga come un “partito nuovo” in cui la pluralità di culture produce una sintesi capace di includere e sa indicare progetti.

Il rischio invece è che un tentativo del genere si infranga sugli scogli di un sogno bruscamente interrotto. Dobbiamo augurarci che per la salute stessa della democrazia italiana il PD riesca ad operare, ora che ha messo mano allo statuto, i cambiamenti necessari e diventi un partito “democratico davvero”, che si dia come missione l’attuazione effettiva della nostra Costituzione e una visione strategica per il futuro e per le nuove generazioni.

A proposito di nuovi soggetti politici

Il quadro politico nazionale si arricchisce poi in queste ore di un’ulteriore proposta che riguarda direttamente quel variegato mondo del cattolicesimo italiano al quale, anche noi col nostro impegno, cerchiamo di assicurare un’interlocuzione politica. La pubblicazione del manifesto politico redatto da Stefano Zamagni e Leonardo Becchetti, che annuncia la nascita di un movimento politico nazionale che intende strutturarsi e presentare liste in occasione delle tornate di elezioni regionali dei mesi prossimi, ripropone, questa volta in modo esplicito, la questione del rapporto fra cattolici e politica. Lo fa nella critica severa del quadro nazionale, con una netta presa di distanza da una destra a trazione salviniana e al tempo stesso la rivendicazione di una diversità rispetto al PD, questi amici avviano un processo che nasce con intenzioni alte (anche se appesantite da spezzoni retro’ ) e tuttavia è chiamato all’onere della prova politica, tanto programmatica e di costruzione di una classe dirigente, quanto elettorale.

Si tratta di un’operazione che intende collocarsi nel centrosinistra ma che è esterna al perimetro del PD. È una proposta, e come tale se ne vedranno gli esiti. Un’operazione che può avere il pregio di porre le premesse per un passaggio chiarificatore su quelli che possono essere gli spazi e le forme di un rapporto dei cattolici italiani con il diretto impegno politico nel quadro dell’attuale situazione del Paese. Può essere anche questo un tentativo di intervenire sul necessario restyling del centrosinistra in cui, tra l’altro, si contano altri tentativi (come ad es. quello di Demos). Un cantiere aperto rispetto il quale merita stima chiunque si adoperi intorno ad una prospettiva costruttiva; così come fanno tanti amici che si sono impegnati nel PD – con non poche difficoltà – con la mozione “Progetto Italia–Progetto Europa”.

In questa fase politica vi è più di un progetto che punta a riunire credenti e non credenti intorno ad un rinnovato impegno pubblico che si manifesta come urgente nella grave crisi che affronta il Paese.

Come ha fatto già in questi anni, l’associazione seguirà con attenzione l’evolversi di questi progetti, interloquendo con chi li anima e intensificando la propria iniziativa di analisi e di elaborazione culturale.