Il bipolarismo forzato nel quale è da troppi anni ingabbiata la politica italiana (limitandoci qui a parlare di casa nostra) induce politici di larga esperienza e riconosciuta qualità a teorizzare l’inevitabile e perfino necessaria radicalizzazione dello scontro – si spera, solo elettorale – fra le opposte coalizioni appositamente costituite per affrontarlo.
Galvanizzare i propri lettori?
Con la usuale chiarezza e il tradizionale disincanto è stato da ultimo Dario Franceschini a porre in chiaro la questione: poiché sempre meno gente si reca alle urne vince chi meglio riesce a galvanizzare, organizzare e indurre a votare i propri sostenitori o comunque i propri simpatizzanti.
E per farlo deve, naturalmente, ricorrere alla dialettica argomentativa e agli strumenti propagandistici più consoni ad uno scontro. Dunque non quelli programmatici bensì quelli pieni di punti esclamativi, di promesse, di forti dichiarazioni di alterità rispetto agli avversari dell’altro campo. Esercizio nel quale si applicano tutti o quasi i principali esponenti dei partiti, di maggioranza e di opposizione.
Un clima che divide
Poco importa, pare, a vedere come vanno le cose, se lungo questa china si dovesse pervenire a un clima di totale insofferenza dell’altro, individuato ormai come un nemico invece che un avversario nella legittima contesa democratica.
Per di più in una fase storica così preoccupante, questa è una china pericolosa in quanto potrebbe presto rendersi necessario un esercizio di unità nazionale che certamente non può essere favorito da un pregresso scontro continuo e privo di freni inibitori.
E poi, sono davvero sicuri, i leader dei partiti, che sia quella dello scontro permanente al limite dell’insulto la necessità che gli italiani non tifosi di questo/questa o di quello/quella (ovvero la maggioranza) avvertono per migliorare la condizione del Paese, la propria qualità della vita?
Il disagio dei cittadini
A tal proposito sarebbe utile per loro analizzare i risultati del sondaggio di Only Numbers di cui ha dato conto Alessandra Ghisleri lo scorso 21 settembre su La Stampa.
Laddove emerge chiaramente il “crescente disagio” nei confronti del “modo in cui si parla – e si urla – di politica”. Una “politica percepita come una continua guerra tra fazioni, incapace di spiegare con chiarezza contenuti, riforme e scelte”.
Un’estremizzazione favorita dai social media, un “ring digitale” dove la complessità della politica viene ridotta a “tifoseria da stadio”. È la chiusa logica dei follower, l’opposto del dibattito e del confronto, anche aspro ma pur sempre “confronto”. (Termine fra l’altro glorioso per chi come Dario, e pure per chi qui scrive, ha iniziato il proprio impegno politico nella Sinistra Dc).
Un nuovo spazio da interpretare
È dunque comprensibile il distacco di tante persone dall’interesse per una politica siffatta (l’opposto della buona Politica) e il conseguente abbandono delle urne elettorali.
Nell’interesse primario della nostra democrazia, che lo merita (anche nel ricordo di chi offrì la propria esistenza per poterla edificare), invece di guardare solo ai propri tifosi – sempre meno, peraltro – sarebbe opportuno ascoltare le voci di questi cittadini, maggioritari eppur privi di rappresentanza. Forse lì c’è uno spazio elettorale invero consistente, se solo lo si sapesse interpretare.