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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Dopo la sconfitta si accende il dibattito fra i Dem americani

Nancy Pelosi attacca Biden: a suo giudizio doveva dimetersi prima. Al tempo stesso, l’ex Specker del Camera dei rappresentanti si mostra in “completo disaccordo” con la severa analisi di Bernie Sanders.

Cominciano a volare gli stracci in casa democratica. Inevitabile, dopo la batosta subìta martedì scorso. Il tonfo è stato pesante e ha fatto male. Il dolore causato dalla botta si comincia ad avvertire qualche tempo dopo averla presa, è noto: e infatti, esauriti i prammatici “discorsi della sconfitta” tenuti dalla candidata perdente e dal Presidente uscente, i toni hanno cominciato ad alzarsi.

Del resto aver perso non solo nella conta dei delegati ma anche nel voto popolare (fatto accaduto assai di rado ai democratici) e aver ceduto quote rilevanti del tradizionale elettorato afroamericano e soprattutto ispanico e giovanile è un fatto che non può non indurre il Partito Democratico USA a profonde riflessioni. Che è auspicabile ci saranno, nel prossimo futuro. Ora però è ancora il tempo di quelle a caldo, rivelatrici però di un pensiero covato interiormente da chi le esprime ma tenuto nascosto in nome della necessaria unità di facciata durante il confronto elettorale con l’avversario.

L’immarcescibile e sempre combattiva Nancy Pelosi, già speaker della Camera, dove martedì è stata rieletta per la ventesima (!) volta, in una intervista sul podcast del New York Times ha una volta di più (fu lei, con Obama, a mettere Biden con le spalle al muro e di fatto a costringerlo a rinunciare alla ricandidatura) attaccato il Presidente: “Se avesse lasciato prima – ha detto – forse ci sarebbero stati altri candidati in corsa, ci sarebbero state Primarie aperte. Poiché il Presidente ha appoggiato immediatamente Kamala Harris, ha reso quasi impossibile lo svolgimento delle Primarie in quel momento. Se fosse stato molto prima sarebbe stato diverso”. “Kamala Harris ha ridato speranza alla gente”, ha doverosamente aggiunto. Ma è evidente l’insoddisfazione per la scarsa efficacia della campagna elettorale della candidata, oltre che l’arrabbiatura (chiamiamola così, del resto la Pelosi non è una che non le manda a dire) nei confronti del suo vecchio amico Joe Biden.

Pelosi però non sembra voler indagare oltre circa i motivi di fondo che hanno determinato la sconfitta del suo partito. Ed infatti, ad esempio, si mostra in “completo disaccordo” con la severa analisi di Bernie Sanders, secondo la quale il Partito Democratico ha abbandonato gli operai e non è stato vicino alle preoccupazioni economiche dei lavoratori, concentrandosi invece – ecco la stoccata alle californiane Harris e Pelosi – sulla politica identitaria, lontana dagli interessi veri della gente comune che deve arrivare alla fine del mese, ogni mese.

E in effetti il profluvio di star – da quelle più stagionate a quelle più giovani, da Robert De Niro a Taylor Swift, per dire – manifestatosi in favore di “Kamala” pare aver ulteriormente accentuato il senso di lontananza dei Democratici da quella che dovrebbe essere la sua base elettorale. Troppa attenzione ai diritti individuali e meno a quelli sociali, e meno ancora alle vitali questioni economiche (è l’inflazione alta che ha sconfitto in primis Biden, il cui operato per il rilancio dell’economia americana è stato molto buono, a giudizio diffuso), verrebbe da dire. Ciò ha portato ad errori gravi, anche se non decisivi per la sconfitta (che, visti i risultati, sarebbe comunque arrivata) ma indicativi di un modo di pensare: la scelta sbagliata del candidato vicepresidente, il gioviale ma troppo radicale governatore del Minnesota in luogo di quello più moderato della Pennsylvania (uno Stato, per di più, di quelli in bilico e quindi potenzialmente decisivo); la chiusura della campagna elettorale in Wisconsin (altro swing state) affidata alla famosa Alexandra Ocasio-Cortez, giovane affermata stella del wokismo newyorkese; l’accusa di maschilismo rivolta da Obama, dicasi Obama, agli uomini neri di colore. I risultati si sono visti: il candidato vice di Trump ha sconfitto fin dal confronto televisivo quello di Harris; nel Wisconsin ha vinto Trump; molti tradizionali elettori democratici di colore questa volta hanno virato sui repubblicani.

Troppo spazio in questi anni il Partito Democratico ha dato al radicalismo di successo nei media con campagne che hanno lisciato il pelo a movimenti quali Black Lives Matterallontanandolo così da segmenti ampi di popolazione più tradizionalista – i latinos, ma anche molte donne e molti afroamericani – che si aspetta dalla politica risposte alle preoccupazioni quotidiane: il lavoro, la spesa per il cibo, le bollette, la sicurezza. Lo ha detto in chiaro un deputato dello Stato di New York, Tom Suozzi: “dobbiamo smetterla di assecondare la nostra base e basta, dobbiamo iniziare ad ascoltare la gente”. Ecco, sarebbe una buona idea.