Nell’editoriale pubblicato oggi su l’Altravoce, Michele Marchi propone una riflessione esigente sul destino dell’Occidente e sul ruolo che l’Europa è chiamata a giocare in una fase di profonda discontinuità storica.
Un Occidente che non è più scontato
L’editoriale muove da una constatazione netta: l’Occidente euro-atlantico, così come si è strutturato nel Novecento attorno alla centralità americana e alla democrazia liberale, non è più un dato ovvio né un orizzonte indiscusso. Le trasformazioni geopolitiche, il ritorno delle potenze autoritarie e, soprattutto, l’irruzione del populismo hanno incrinato un equilibrio che per decenni era parso stabile.
Non si tratta, tuttavia, di un semplice declino esterno. Il nodo più problematico è interno alle democrazie occidentali: la crescente difficoltà di produrre consenso attraverso istituzioni rappresentative credibili, capaci di decidere senza rinunciare al pluralismo. È qui che la crisi dell’Occidente si intreccia con una crisi più profonda della democrazia liberale come forma di governo.
Sieyès, Krastev e la crisi della rappresentanza
È in questo passaggio che il riferimento di Marchi a Emmanuel-Joseph Sieyès assume un significato decisivo. Il teorico della Rivoluzione francese aveva chiarito che la nazione non coincide mai con una parte che pretende di incarnarla. La rappresentanza non è una distorsione della sovranità popolare, ma la sua condizione di possibilità. Alla tesi di Sieyès si rifà
Ivan Krastev.. Per il politologo bulgaro, il populismo nasce quando la rappresentanza viene delegittimata come artificio elitario e sostituita dall’illusione di un rapporto diretto tra leader e “vero popolo”. In quel momento la democrazia cessa di essere un sistema di regole condivise e si trasforma in una competizione identitaria permanente.
Il populismo, dunque, non mette in discussione la sovranità popolare in quanto tale, ma contesta l’idea stessa che la politica richieda mediazione, competenza e responsabilità istituzionale. È, in questo senso, una patologia della rappresentanza.
Leadership, mondi vitali e responsabilità dei cristiani
Da qui discende la tesi centrale dell’editoriale: la risposta europea non può essere affidata né a un tecnicismo senz’anima né a un sovranismo di ritorno. Occorrono nuove leadership nazionali solide, capaci di reggere il confronto democratico interno e, insieme, di collocarsi in una visione europea condivisa.
Ma tali leadership non nascono per decreto. Esse presuppongono l’esistenza di culture politiche e civili capaci di alimentare senso, responsabilità e visione. In questo quadro, allargando l’analisi di Marchi, anche i “mondi vitali” cristiani sono chiamati in causa. Non come riserva identitaria o confessionale, ma come tradizione storica che ha contribuito in modo decisivo alla costruzione della democrazia rappresentativa europea, alla cultura della mediazione e al primato delle istituzioni.
Per i cristiani impegnati nella vita pubblica, la sfida è tornare a pensarsi come fattore di ricomposizione, di educazione alla responsabilità e di contrasto alle semplificazioni populiste, non come minoranza nostalgica o testimonianza marginale.
Ripensare l’Occidente
Ripensare l’Occidente, allora, significa sottrarlo alla deriva che lo svuota dall’interno. L’Europa è chiamata a dimostrare che libertà, rappresentanza e decisione possono ancora stare insieme. Il prossimo quarto di secolo sarà decisivo, e lo sarà soprattutto sul terreno della leadership politica e della capacità dei suoi mondi vitali – a partire da quelli cristiani – di rigenerare la democrazia liberale.

