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Dopo Rutelli Veltroni e Renzi ci prova un altro sindaco. Ma è Sala il futuro?

È la solidità del buon senso, anche quando s’alza la timida bandierina del cambiamento.

La recente intervista di Beppe Sala, sindaco di Milano, ha dato fondo alle fantasie o alle angosce del Pd attorno a un probabile accordo nel futuro con i Cinque Stelle.  Amministratore compassato, manchevole di pathos e seduttività, Sala fatica a proporre con il suo stile d’impeccabile sales manager lumbard l’immagine del politico intraprendente e creativo. Di brillante, nella conversazione affidata a Repubblica, si trova in effetti l’annuncio della borraccia di alluminio, in sostituzione di quella di plastica, che a settembre il Comune donerà ai bambini delle elementari e ai ragazzi delle medie in vista del loro ritorno a scuola. Un gesto carino, senza dubbio, ma lontano anni luce dalla emozione di un riformismo generoso e accattivante.

Sala vuole proporsi come uomo del dialogo tra riformisti e populisti. Il suo “esprit de finesse” si arresta sulla soglia dell’enunciazione predittiva e non va oltre, ben al di sotto perciò dell’analogo esprit di un Franceschini, certamente in grande spolvero. Oggi no, ma in futuro sarà possibile e anzi auspicabile che l’alleanza prenda forma. Su quali basi, il Sindaco non lo dice. In effetti dice solo che Di Maio, protagonista secondario del blocco giallo-verde, dovrà farsi da parte. Dunque, con  altri interlocutori la formazione di una nuova alleanza sarà a portata di mano.

Tutto qui, niente di più e niente di meno. Siamo di fronte al bignamino delle buone intenzioni di cui, come si sa, le vie dell’inferno sono lastricate. Il massimo che riesca a produrre la politica della città più dinamica, orgogliosamente protesa verso gli orizzonti dell’innovazione e dello sviluppo, passa per questo  programma minimo di sopravvivenza democratica. Rutelli e Veltroni, sindaci di Roma, hanno tentato l’assalto a Palazzo Chigi; a riuscirci è stato solo Renzi, senza passare per l’elezione al Parlamento, come primo cittadino di Firenze; tutti comunque hanno messo a fuoco il sogno di un nuovo progetto politico, portando la freschezza della loro esperienza nell’agone elettorale. Invece Sala, a ricalco della pubblicità di un noto immobiliarista, non regala sogni ma solide realtà.

È la solidità del buon senso, anche quando s’alza la timida bandierina del cambiamento. Torna un po’ di antistatalismo, giusto per titillare le corde del popolo viziato dalla propaganda giallo-verde. Come se lo Stato potesse tornare in salute, principalmente con i conti a posto, vendendo all’occorrenza un po’ di caserme – perché no? – malgrado il fatto che dai tempi di Giuliano Amato nessuno riesca a vendere sul serio (forse per qualche motivo non banale, forse perché costituiscono la riserva di capitale a disposizione del nostro apparato militare).

Ecco, con queste brillanti ricette Sala ritiene di potersi atteggiare a  leader di una sinistra finalmente agghindata a festa, che vedrebbe ad esempio abbracciate, nella banalità di programmi e indirizzi politici, le inconciliabili personalità  di Calenda e Casaleggio. È difficile rassegnarsi a tanta inconsapevole superficialità. Anche nel Pd dovrebbe affacciarsi una  serena e ferma considerazione sui rischi di una perenne retorica del vuoto.

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