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giovedì, 25 Settembre, 2025
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Dossetti, le questioni ebraica e palestinese, il “mondo libero”

Le parole del “monaco riformista” illuminano le sfide di oggi tra conflitti, memoria storica e nuove responsabilità internazionali

In questi tempi bui globali, può gettare un po’ di luce lo studio di un libro come Il Vaticano II. Frammenti di una riflessione, di Giuseppe Dossetti (a cura di Francesco Margiotta Broglio), pubblicato nel 1996, proprio l’anno della sua morte. Ascoltiamo qualche parola del “monaco riformista”, come lo ha definito il compianto Luigi Covatta:

«[…] Quindi la necessità di un accordo profondo e totale, in condizioni di parità effettiva, economica, sociale, culturale e politica con gli arabi; e la necessità pure di giungere a una soluzione speciale per Gerusalemme e cioè all’unificazione amministrativa di tutta la città, con un’amministrazione alla quale parteciperebbero gli arabi, e finalmente uno statuto distinto per la città vecchia, che non sarebbe giuridicamente né ebraica, né musulmana, né cristiana» (p. 160).

La prospettiva storica secondo Dossetti

E, a mo’ di esempio, cito una nota di due pagine dopo, al fine di dimostrare che non occorrerebbe smarrire mai, in situazioni del genere, la prospettiva storica, anche di lunga durata:

«Inoltre bisogna tener conto degli studi dell’islamologo B. Lewis, The Jews of Islam, Princeton, 1985, dove è citata tutta la bibliografia precedente e dove sono descritte le origini, l’apogeo e il declino della tradizione giudeo-islamica, di quella simbiosi tra giudaismo e islamismo, che ha rappresentato uno dei capitoli maggiori della storia dell’ebraismo post-biblico, in un periodo di alta cultura e di grande creatività, ma che ha conosciuto le sue pagine di dolore e di sangue».

Palestina e Israele: ostilità non inevitabile

Insomma: l’ostilità fra il popolo palestinese e quello ebraico-israeliano non è inscritta in una sorta di destino immutabile. Tutto dipende dalle dinamiche politiche, economiche e socioculturali regionali e planetarie. E il riconoscimento dello Stato palestinese può favorire non poco l’isolamento dell’attuale governo senza senno di Tel Aviv e l’avvio di un nuovo corso volto alla distensione e alla coesistenza pacifica.

Un gesto politico e simbolico di rilievo, per dire forte e chiaro che la comunità internazionale non può accettare lo sterminio o il trasferimento forzato di un popolo intero. Sarebbe gravemente riduttivo, al cospetto di quel sangue e di quell’indicibile sofferenza, limitarsi a un generico appello umanitario. 

Dove si colloca il “mondo libero”?

Alla negazione della vita e del futuro di quei bimbi e dei loro genitori corrisponde, in assenza di una risposta decisa, un futuro cupo per tutto il globo, stretto come in una morsa tra le autocrazie “orientali” e la democrazia a stelle e strisce sempre più illiberale, con l’Onu ridotta all’impotenza e alla marginalità.

Dove si situerà “il mondo libero”? E soprattutto: vi sarà ancora un “mondo libero”, pur con le sue imperfezioni?