Chi scrive, bolognese di nascita e di “vita quotidiana”, ha riflettuto molto sull’opportunità o meno di scrivere un contributo su quanto accaduto il due agosto 1980 alla Stazione Centrale di Bologna.
Chiunque all’epoca dei fatti fosse solo un bambino, come il sottoscritto, corre infatti l’insostenibile rischio di sminuire o banalizzare l’enormità di quanto è stato perpetrato a danno di persone inermi, dell’impatto psicologico causato ad una intera generazione già duramente provata da un periodo storico tragico e da cui stava faticosamente uscendo.
Credo francamente che per quelli della mia generazione, e di quelle successive, sia più serio, rispettoso e responsabile prodigarsi nell’impegno attivo a tenere vivo il ricordo di quella strage voluta da un piano eversivo neofascista, a difenderne la memoria da qualsiasi tentativo di revisionismo, continuando a pretendere la completa verità (processuale e storica), preservando le testimonianze dirette di chi, suo malgrado, è stato vittima e testimone diretto di tale efferatezza.
Non del due agosto 1980 in sè, quindi, si vuole qui riflettere, ma di quanto questo evento o, meglio ancora, le reazioni collettive che ne seguirono, possano, anzi debbano guidarci in questo due agosto del 2021.
Anche oggi, quarantuno anni dopo, il Paese sta uscendo faticosamente da un periodo altrettanto drammatico, anche se ovviamente per motivi radicalmente differenti: una lotta contro un nemico che, oltre alle 135 mila e più vittime italiane, ha evidenziato quanto siano presenti, diffusi e gravi (non solo nel nostro Paese, chiaramente) fenomeni che denotano forme talmente estreme di paure e di individualismi da mettere in discussione regole di convivenza come quelle di sanità pubblica o addiritura le verità medico-scientifiche.
Anche oggi, come allora, il Paese è chiamato a compiere un grande sforzo comune e ad attingere alla proprie migliori riserve, ma è chiamato a farlo in un contesto forse ancor più difficoltoso: un contesto in cui la consapevolezza del momento appare meno diffusa e più diluita.
Su cosa, allora, è prioritario e fondamentale richiamare ogni soggetto pubblico e privato, singolo e plurale, a concentrare i propri sforzi al fine di farli diventare efficace impegno comune?
Ebbene, una salda e radicata coesione sociale è, senza dubbio alcuno, il principale obiettivo a cui si deve tendere: duramente messa alla prova negli ultimi decenni, essenza stessa di comunità, elemento basilare raggiungibile esclusivamente attraverso una paziente, ma non per questo meno intensa, opera di ricucitura delle molteplici e profonde lacerazioni e situazioni di tensione sociale che la pandemia ha ulteriormente aggravato in ogni ambito.
Senza una ritrovata e piena coesione sociale potrebbe risultare un grave azzardo il confidare ancora una volta sulla capacità di “tenuta” del popolo italiano di fronte alle difficoltà. Il rischio, più concreto di quanto si pensi e per questo da ribadire con forza, è che le libertà e le garanzie democratiche potrebbero non essere più percepite come intoccabili a fronte di facili, quanto pericolose, promesse di predatori elettorali.
L’opera di ricucitura del tessuto sociale deve diventare quindi non solo l’imperativo ineludibile per offrire la maggiore garanzia possibile di tenuta democratica del Paese, ma anche la vera bussola da seguire per mettere a frutto nel miglior modo possibile quella epocale opportunità di sviluppo economico equo e sostenibile che ci viene offerta, guarda caso, proprio da un esempio concreto di “coesione sovranazionale”: i fondi del PNRR dell’Unione Europea.
Un’opportunità su cui abbiamo il dovere di vigilare affinchè non prevalgano tradizionali e miopi interessi di bottega.
Si pone davanti a noi la possibilità storica di ridefinire le fondamenta del nostro intero sistema economico e, conseguentemente, anche la responsabilità di farlo realmente a beneficio comune.
È noto infatti che un sistema con un basso tasso di diseguaglianza, con poche rendite di posizione, un sistema che, invece di estemporanei e timidi tentativi di redistribuzione delle ricchezze accumulate da pochi, in modo deciso e costante si occupi della redistribuzione del reddito (in particolare di quello da lavoro), è anche un sistema complessivamente molto più performante.
Ecco quindi che il ricordo delle vittime di ieri e di oggi non si deve esaurire nello sguardo a ciò che è stato, ma deve spingerci con forza e determinazione a ragionare e ad operare come comunità coesa. Nell’analisi del passato, nell’azione del presente, nel progetto del futuro.