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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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È comunque decisivo il dibattito sui cattolici in politica

Certamente la cultura del popolarismo di ispirazione cristiana e la tradizione del cattolicesimo sociale sono semplicemente incompatibili con i partiti che hanno un marcato ed accentuato profilo sovranista, massimalista e radicale.

Comunque lo si valuti, è positivo ed incoraggiante il dibattito che si è aperto nell’area cattolica italiana sulla necessità di un rinnovato impegno politico. Un dibattito che, come ovvio ed evidente, può avere – e anzi avrà – esiti diversi. E questo non solo perché c’è un forte, radicato e ormai consolidato pluralismo politico ed elettorale di quest’area culturale. Ma, soprattutto, perché nessuno oggi può intestarsi in modo esclusivo la rappresentanza esclusiva di quello che un tempo si chiamava mondo cattolico. E neanche coloro che, con una presunzione ed un arroganza senza limiti, si candidano perennemente ad interpreti esclusivi della tradizione storica e culturale del cattolicesimo politico italiano, non hanno alcun titolo per ergersi a paladini di questo filone ideale. Anche quando lo manifestano in modo plateale.

Ma il dibattito attorno al possibile ed eventuale ritorno dei cattolici all’impegno pubblico e nei partiti è importante anche per un altro aspetto. E cioè, è abbastanza noto ed evidente che la cultura politica dei cattolici democratici, popolari e sociali non è affatto compatibile con quella che comunemente viene definita come la radicalizzazione del conflitto politico. Una radicalizzazione che ha, purtroppo, indebolito la qualità della democrazia, ha fiaccato la credibilità delle istituzioni democratiche e, purtroppo, ha incrinato la stessa efficacia dell’azione di governo. È altrettanto evidente che la collocazione politica di questa cultura politica non può che essere al Centro.

Ma questo non significa affatto che il ruolo, l’azione e l’iniziativa politica dei cattolici si colloca su un piano moderato o ispirato all’ordinaria amministrazione o ad una banale ed incolore equidistanza rispetto alla destra e alla sinistra. Perché l’azione, il ruolo e l’iniziativa politica dei cattolici – basti pensare a ciò che hanno fatto, al riguardo, i grandi leader e statisti della Democrazia Cristiana per rendersene conto – è sempre stata ispirata ad una chiara ed inequivocabiliche cifra riformista. Un riformismo pragmatico, di governo e fortemente ispirato al pensiero, alla cultura e alla tradizione del cattolicesimo politico. Ed è anche per questi elementi, semplici ma essenziali, che oggi – in assenza di un partito chiaro di riferimento per la maggioranza dei cattolici italiani – i cattolici si collocano tranquillamente nei partiti e nei luoghi politici che declinano concretamente un progetto centrista, o in quei soggetti che coltivano una “politica di centro”, come la chiamava la migliore cultura democratico cristiana.

Non può essere solo il Pd o la sola Forza Italia ad esaurire questa spinta e questa cifra politica e culturale. Anche perché, come tutti sanno, il voto dei cattolici è omogeneo rispetto al voto di tutti gli italiani. Detto con altre parole, i cattolici votano come tutti gli altri cittadini e quindi il consenso si spalma su tutti i partiti italiani. Certo, la cultura del popolarismo di ispirazione cristiana e la tradizione del cattolicesimo sociale sono semplicemente incompatibili con i partiti che hanno un marcato ed accentuato profilo sovranista, massimalista e radicale. Per non parlare, com’è altrettanto evidente, dei partiti populisti, demagogici se non addirittura anti politici.

Ecco perché, se da un lato è importante e decisivo l’ipotesi di un ritorno dei cattolici all’impegno politico e nei partiti, dall’altro ci si deve rassegnare – e la regola vale soprattutto per quelli che Donat-Cattin definiva sarcasticamente come i “cattolici doc” – ad un reale pluralismo politico dei cattolici stessi, cioè presenti in quei soggetti politici che predicano e praticano realmente un’azione e una cultura di centro.