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giovedì, 31 Luglio, 2025
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È l’ego che guida Trump nelle sue esternazioni

L’ex presidente cambia toni su Putin e Netanyahu. Ma dietro, dal suo punto divista, non c’è l’Europa: solo il culto di sé stesso.

Con la strafottenza che lo contraddistingue e le conseguenti iperboli che utilizza per celebrare i propri successi, presunti o reali, o anche inventati di sana pianta, Donald Trump ha valutato nientemeno che straordinario l’accordo sui dazi raggiunto con l’Unione Europea, istituzione per la quale – come è noto – il suo grado di apprezzamento e considerazione è prossimo allo zero.

La coincidenza che fa sperare

È però significativo il fatto che immediatamente dopo la conclusione della trattativa con Bruxelles il tycoon abbia mutato postura e vocabolario a proposito delle due principali guerre in corso, in Ucraina e a Gaza. È vero che lo ha fatto a colloquio con il premier britannico, ovvero col leader di un Paese che non è parte dell’Unione e che anzi ne è uscito a seguito di un referendum popolare – fatto che, per ciò stesso, non può che incontrare l’apprezzamento di Trump. Ma la coincidenza temporale rimane, e il dubbio – o forse l’illusoria speranza – che la posizione più dura nei confronti di Putin e la smentita a Netanyahu circa l’esistenza a Gaza di un effettivo dramma umano legato alla mancanza di cibo siano anche il frutto della firma apposta da Ursula von der Leyen in calce al deludente (per gli europei) contratto, al contrario assai redditizio per gli USA (nel breve; nel lungo periodo si vedrà).

Fallimenti e frustrazioni di The Donald

Naturalmente, con Trump – ormai il personaggio lo conosciamo – non si può mai dire una parola definitiva. Ma le affermazioni da lui sostenute a Aberdeen sono nette e in linea con la posizione europea. Quindi, l’UE forse questa volta almeno un po’ ha influito sul presidente americano.

La realtà, però, potrebbe essere diversa. E avere a che fare, inevitabilmente, con l’ego smisurato di The Donald. Mi spiego.

Nella sua immodestia da vero e proprio bullo, egli non conosce la parola “fallimento”. Non la vuole neppure sentire nominare, se riferita a lui. Al contrario, la utilizza spesso a proposito degli altri, come faceva quando “licenziava” (“you’re fired!”) i concorrenti dello show The Apprentice. Ebbene, con lui alla Casa Bianca la guerra in Ucraina non sarebbe mai iniziata, diceva. In ogni caso, con lui alla Casa Bianca sarebbe finita in 24 ore, diceva. Sono invece trascorsi sei mesi dal suo ritorno a Washington e la guerra in Ucraina non solo non è terminata, si è addirittura intensificata. E questo nonostante il suo approccio estremamente conciliante con Putin, l’aggressore, ed estremamente offensivo con Zelensky, l’aggredito. Ora deve riconoscere che Putin lo ha deluso. Deve essergli costata molto, questa ammissione.

Netanyahu nel mirino, ma per orgoglio

Naturalmente nessuna autocritica, va da sé. Ma la constatazione che l’approccio utilizzato non ha funzionato, almeno quella c’è stata. E la cosa di certo lo ha fatto imbestialire, da cui le sue affermazioni in presenza di Keir Starmer. Tutto da scoprire, però, cosa dirà o farà fra 10-12 giorni, allo scadere dell’ultimatum che ha dato allo zar russo.

Ma anche Netanyahu, col quale il rapporto sembra eccellente nella sua scandalosità – dal video osceno su Gaza trasformata in una specie di Las Vegas creato con l’IA, al sostegno su tutta la linea alla politica del governo israeliano, sino all’intervento militare per disinnescare il pericolo nucleare iraniano – lo sta almeno in parte deludendo e dunque indisponendo. Perché, a fronte delle immagini tragiche di Gaza – le poche che filtrano, peraltro – non si può impunemente dire che non c’è una carestia indotta, con i bambini denutriti che stanno morendo di fame. Fotogrammi che trasmettono l’idea di una strage disumana, inaccettabile. Che neppure Trump può accettare: anche qui un segnale di fallimento personale, essendo il premier di Israele un suo presunto amico. E quindi ha ammesso indignato che a Gaza si muore di fame, e questo non va bene. Netanyahu intenda il messaggio.

Non è quindi l’UE ad aver provocato il sussulto di coscienza trumpiano. È stato il suo ego. L’unico suo inappellabile punto di riferimento.