Presentato ieri il Rapporto del Centro Studi della Confindustria: “La manifattura al tempo della pandemia. La ripresa e le sue incognite”. Che cosa emerge? L’Italia ha recuperato, ora traina l’Eurozona. Germania e Francia sono lontane dall’assorbimento degli effetti prodotti dallo shock. Di seguito la sintesi del Rapporto.
Redazione
Dopo il crollo dei primi mesi del 2020, l’attività industriale a livello mondiale ha risalito velocemente la china nella restante parte dello scorso anno. Successivamente al rimbalzo, tuttavia, il percorso di crescita si è sostanzialmente interrotto nel 2021, tanto nel mondo avanzato quanto in quello emergente. Nell’Unione europea e negli Stati Uniti l’indice di produzione manifatturiera è tornato a toccare i livelli pre-crisi a gennaio 2021, senza però superarli stabilmente nei mesi successivi. La Cina è avanzata fino a luglio 2021 di un modesto +1,6%. Altrove è andata peggio.
Al rallentamento strutturale della crescita industriale globale che precede lo scoppio della pandemia, nel corso dell’ultimo anno si sono aggiunti gli effetti negativi prodotti da misure di lockdown in molti paesi emergenti rese necessarie dal dilagare ancora incontrollato del Covid-19, la crisi della logistica marittima che ha fatto impennare i costi di trasporto e rallentato i flussi commerciali di materie prime, semilavorati e beni finiti, e la crisi energetica in Cina che ha costretto a sospensioni forzate di molte attività industriali, con effetti a cascata per gli approvvigionamenti in tutto il resto del mondo.
In questo difficile contesto internazionale, alcuni settori hanno continuato ad espandersi nel corso del 2021. A livello mondiale, farmaceutica, elettronica e meccanica strumentale, sotto la duplice spinta della domanda di vaccini e di digitalizzazione, hanno superato nel corso di quest’anno di oltre il 10% i livelli del quarto trimestre del 2019. Male, invece, sia per la debole ripresa della domanda sia per le strozzature nelle forniture, i comparti legati ai mezzi di trasporto (non solo automotive) e quelli della moda.
Poiché l’insorgere della crisi pandemica ha determinato in tutto il mondo una caduta dell’attività manifatturiera nel primo semestre del 2020 a cui ha fatto seguito un recupero nella restante parte dello stesso anno, le quote nazionali del valore aggiunto manifatturiero globale (calcolate a prezzi correnti) mostrano una sostanziale stabilità. L’Italia conserva il settimo posto a livello mondiale. Non sono però mancate alcune eccezioni degne di rilievo. La Cina, che già da anni riveste il ruolo di primo produttore manifatturiero mondiale, ha registrato una crescita di oltre due punti percentuali della propria quota di mercato, passata dal 28,6% del valore aggiunto totale nel 2019 al 30,1% nel 2020. Il distacco dagli Stati Uniti (16,6%) è cresciuto ulteriormente, arrivando quasi a quattordici punti percentuali. Anche Corea del Sud e Taiwan, i cui sistemi manifatturieri hanno sviluppato una forte specializzazione nelle produzioni legate all’elettronica – ossia in uno dei comparti più in salute nel 2020 – sono riuscite lo scorso anno a guadagnare posizioni in classifica (rispettivamente una e due). Taiwan, in particolare, grazie a una crescita del valore aggiunto nel 2020 che è stata superiore anche a quella cinese, è salita, per la prima volta nella sua storia, all’undicesimo posto della classifica, scavalcando Russia e Messico.
Nel 2020 gli investimenti diretti esteri (IDE), che rappresentano uno dei principali mezzi attraverso cui si sono costruite le catene globali del valore e sono al centro dell’accelerazione della dinamica del commercio mondiale, sono crollati del 35%, sotto il peso dell’incertezza esplosa con la pandemia. L’inversione di tendenza sembra già iniziata nei primi due trimestri del 2021, essendo i flussi mondiali di ide tornati a crescere ai livelli pre-Covid. Le prospettive per l’anno in corso, secondo l’unctad12, sono migliorate sensibilmente. Infatti, per il 2021 si prevede una crescita degli IDE nel mondo tra il 10 e il 15%; di questo aumento beneficeranno maggiormente le economie sviluppate (con un tasso di crescita tra il 15 e il 20%) rispetto a quelle emergenti e in via di sviluppo (tra il 5 e il 10%). I comparti maggiormente beneficiari dei capitali esteri investiti sono quelli della salute e della transizione ecologica.
A differenza di quanto accaduto con le precedenti crisi globali, la manifattura italiana, dopo il tracollo di oltre 40 punti percentuali nel bimestre di marzo e aprile del 2020, non solo ha recuperato stabilmente i livelli di attività precedenti lo scoppio della pandemia, ma è diventata uno dei principali motori della crescita industriale nell’Eurozona. In Germania e Francia, infatti, nonostante un calo meno drastico dei volumi di produzione nei mesi più critici del 2020, il pieno riassorbimento dello shock appare ancora lontano: ancora sotto del 10% dai livelli pre-crisi la produzione tedesca, del 5% quella francese.
La performance industriale italiana è spiegata innanzitutto da una dinamica della componente interna della domanda che, grazie alle misure governative di sostegno ai redditi da lavoro prima e di stimolo alla spesa dopo, ha dato un contributo decisivo alla ripresa della produzione nazionale. A fronte di un fatturato estero che ad agosto del 2021 ha segnato un +2,8% in valore rispetto al picco di febbraio 2020, il fatturato interno ha registrato nello stesso arco temporale un +7,0%. La crescita è trainata innanzitutto dai comparti legati alle costruzioni, dove è in corso un boom di investimenti.
Un ruolo fondamentale è poi rappresentato dal basso grado di esposizione delle imprese manifatturiere italiane alle strozzature che stanno affliggendo le catene globali del valore in questo frangente. In base alla media delle risposte dalle imprese nella seconda parte del 2021, “solo” il 15,4% di esse ha lamentato vincoli di offerta alla produzione per mancanza di materiali o insufficienza di impianti, contro una media UE del 44,3% e a fronte addirittura del 78,1% dei rispondenti in Germania.
La tenuta della capacità produttiva in Italia, sostenuta anche da un massiccio ricorso ai prestiti garantiti dallo Stato (il nuovo debito netto contratto dalle imprese manifatturiere italiane nel 2020 è stato pari a 4,1 punti di fatturato, rispetto ad appena 0,3 nel 2019), ha scongiurato una forte ondata di chiusure ed evitato così pesanti ricadute negative sul fronte dell’occupazione. Alla fine del secondo trimestre 2021, le ore lavorate nell’industria risultavano sotto dei livelli pre-pandemici del 4,2% rispetto allo stesso periodo del 2019, gli occupati dell’1,1%. Per la seconda parte dell’anno, le attese delle imprese manifatturiere sul fronte della domanda di lavoro restano positive.
I risultati preliminari di un’analisi realizzata dal Centro Studi Confindustria in collaborazione con il gruppo di ricerca RE4IT, relativa ai processi di backshoring in corso nella manifattura italiana, rivelano che il fenomeno del rientro in Italia di forniture precedentemente esternalizzate non è marginale. Tra i rispondenti che avevano in essere rapporti di fornitura estera, il 23% ha già avviato, negli ultimi cinque anni, processi totali o parziali di backshoring. Al primo posto tra le motivazioni addotte per spiegare il fenomeno compare la disponibilità di fornitori idonei in Italia (il che significa che la passata esternalizzazione non ha determinato la scomparsa di reti di fornitura nazionale nell’ambito in cui opera l’impresa) e la possibilità di abbattere i tempi di consegna (il che implica che il ricorso alla fornitura nazionale è rimasto efficiente sul piano operativo).
In tema di sostenibilità ambientale, le stime del Centro Studi Confindustria mostrano come, nel 2020, parallelamente al calo dell’attività manifatturiera vi sia stata una forte riduzione dei livelli di emissioni di CO2 nell’atmosfera in tutte le principali economie industriali del mondo, a partire da UE (-8,4% rispetto al 2019) e USA (-7,7%), con la sola, rilevante, eccezione della Cina (+1,6%). Le emissioni prodotte dalla manifattura cinese sono peraltro stimate in accelerazione rispetto alle media del quadriennio 2015-2019. La manifattura italiana si conferma, anche nel 2020, tra le più virtuose al mondo in termini di ridotte emissioni, insieme a quella tedesca e francese.
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