È ora di dire basta alla radicalizzazione della lotta politica

Si tratta di verificare chi crede realmente in una politica basata sul confronto e chi, al contrario, opta per una permanente, strutturale, organica e pregiudiziale contrapposizione ideologica contro l’avversario/nemico.

Dopo il dramma americano è ripartito, ed a maggior ragione e con sicuro fondamento, il tema della violenza della e nella politica. Violenza politica che, almeno nel nostro paese, si manifesta – per fortuna, almeno per il momento – più sul versante verbale che non su quello fisico. Ma,comunque sia, è un argomento che ritorna a fare capolino nel dibattito politico e giornalistico.

Ora, al di là delle varie interpretazioni e delle legittime opinioni attorno al tema della violenza nella e della politica, è indubbio che la decadenza del linguaggio nella vita pubblica italiana ha un inizio ben preciso. Accompagnato, come ovvio, da una precisa matrice culturale e prassi politica.

Ovvero, il disvalore della radicalizzazione politica, della delegittimazione morale dell’avversario/nemico e del suo irreversibile annientamento politico risponde ad una precisa concezione sub culturale. E cioè, la concezione della politica come distruzione sistematica del nemico. Se questo è il filo rosso che lega l’aggressione verbale contro il nemico irriducibile con la potenziale e pur sempre devastante violenza politica, è doveroso ed anche urgente porre fine alla deriva della radicalizzazione per rilanciare le ragioni fondanti della democrazia. Oltreché ai valori e ai principi scolpiti nella Costituzione.

Per queste semplici ragioni credo sia del tutto inutile invocare la buona educazione, la qualità della democrazia, il rispetto delle regole basilari della civiltà democratica e lo stesso buon senso e poi, al contempo, scaraventarsi con rara violenza contro il nemico giurato, in virtù di un odio ideologico e politico senza tregua e senza limiti. Una concezione, questa, che mina alla radice qualsiasi dichiarazione di buoni intenti e di distensione. E allora, fuor di metafora, come è possibile che nel nostro paese – senza, come ovvio, tracciare confronti con ciò che capita oltre oceano – attorno ad una riforma istituzionale o ad un provvedimento che ridisegna il campo delle responsabilità delle autonomie locali, si scateni un putiferio che rischia di creare un caos indescrivibile nella società italiana? Com’è pensabile che attorno ad un tema squisitamente politico e di riassetto delle nostre istituzioni si corra il rischio concreto di dar vita ad un clima ingestibile nelle piazze e nella stessa opinione pubblica? Come si può invertire la rotta e ripristinare una corretta e credibile democrazia dell’alternanza quando l’unico e vero obiettivo è quello di demolire moralmente, culturalmente e politicamente il nemico ideologico?

Ecco perché, e senza scivolare in una ipocrisia ridicola e grottesca, adesso si tratta di verificare chi crede realmente in una politica basata sul dialogo, sul confronto e anche ed ovviamente sullo scontro politico e chi, al contrario, opta per una permanente, strutturale, organica e pregiudiziale contrapposizione ideologica contro l’avversario/nemico. Al riguardo, sono e saranno solo i comportamenti concreti a confermarci, o meno, chi crede nei principi e nei valori della democrazia e chi li viola sistematicamente anche se sostiene l’esatto contrario. Delle due l’una, quindi: o “la cultura del comportamento” e la “cultura del progetto” procedono parallelamente, come ammoniva molti anni fa Pietro Scoppola, oppure il progetto vira in una direzione e il comportamento in tutt’altra strada. Tutto il resto è solo propaganda.