Il ruolo, la funzione e la mission dei cattolici democratici, popolari e sociali continua a fare discutere nel nostro paese. Per ragioni antiche, certamente, ma anche perchè sono gli stessi storici detrattori della presenza dei cattolici nella vita politica del nostro paese a richiamarne, oggi, la bontà e quasi la necessità nella stagione contemporanea. Ora, c’è un aspetto, al di là e al di fuori di tutte le possibili interpretazioni ed analisi, che non possiamo più sottacere o fingere che non esista. E cioè, persiste il vizio – o il limite – della moltiplicazione, e quindi della dispersione, delle sigle, dei gruppi, dei movimenti e anche dei piccoli soggetti politici autoreferenziali sostanzialmente riconducibili alla cultura, al pensiero e alla tradizione del cattolicesimo democratico, popolare e sociale.
Da qui una domanda, semplice ma oggettiva, che è insita in questa eccessiva e nefasta polverizzazione di sigle e anche di sforzi organizzativi. E cioè, ma com’è possibile rilanciare, salvaguardare e riattualizzare una cultura che è sempre più necessaria ed indispensabile per la stessa conservazione e rafforzamento della qualità della nostra democrazia se poi dobbiamo convivere con una molteplicità di sigle e dove ognuno pensa di rappresentare, quasi in forma esclusiva, l’intera area di riferimento? Un vizio, questo, e seppur nel pieno riconoscimento del pluralismo politico e elettorale dei cattolici italiani – un fatto ormai consolidato storicamente – che non solo si è consolidato ma addirittura è cresciuto in questi ultimi anni. Una sorta di eterogenesi dei fini. Ovvero, man mano che l’irrilevanza e l’ininfluenza dei cattolici italiani si manifestava e cresceva nei vari partiti di riferimento si moltiplicavano le sigle e i protagonisti di un del tutto virtuale protagonismo dei cattolici democratici, popolari e sociali. Ne ha fatto le spese, in ultimo, lo stesso Ernesto Maria Ruffini che è partito come potenziale “federatore” di un qualcosa e che nell’arco di pochissimo tempo è diventato uno dei tanti testimoni di questo presunto protagonismo politico e pubblico dei cattolici nella cittadella politica del nostro paese.
Ecco perché, se vogliamo andare rapidamente al nocciolo della questione, come si suol dire, si rende necessaria una concreta iniziativa politica che affronti il nodo più spinoso. Ovvero, sin quando si persegue la strategia della moltiplicazione infinita delle sigle e dei suoi potenziali, e del
tutto virtuali, federatori si avrà un solo risultato. Altrettanto concreto e definitivo. E cioè, la conferma cronica della sostanziale irrilevanza ed ininfluenza della cultura cattolico democratica, cattolico popolare e cattolico sociale. Serve, quindi, un disboscamento organizzativo – anche se il termine è poco elegante – che sia funzionale ad una semplificazione politica. Anche perché non giova a nulla avere duecento o trecento associazioni, movimenti e gruppi che ripetono le medesime cose rifacendosi agli stessi valori e principi. Comportamenti come questi rischiano solo di trasmettere un messaggio di crisi e di impotenza. Ci vuole, quindi, un colpo d’ala. Ma, soprattutto, si rendono indispensabili tre qualità: coraggio, coerenza e realismo. Il resto appartiene solo al mondo della propaganda, peraltro sterile ed improduttiva.