Una ricerca pubblicata sul “New England Journal” ha avvalorato alcune evidenze cliniche postume riscontrate in chi è stato affetto una o più volte da Covid 19: oltre all’insonnia, la depressione, la sofferenza cardiaca, i disturbi alimentari e intestinali, questa pubblicazione si è soffermata su una sensazione diffusamente percepita e fatta oggetto di approfondimenti anche in termini comparativi tra soggetti che ne manifestano i sintomi. Mi riferisco al cosiddetto “brain fog” – in italiano “nebbia cognitiva” — i cui epifenomeni sono in prevalenza stati confusivi, perdita di memoria, disturbi di concentrazione, disorientamento, difficoltà e fatica a connettere discorsi o azioni, anche recentissimi, della vita quotidiana.
Per chi è no-vax o negazionista preconcetto si tratta di fantasticherie e suggestioni: la ricerca inglese ha testato un campione di circa 113 mila pazienti, scandagliando nel prima e nel dopo Covid e riscontrando addirittura una ‘diminutio’ cognitiva fino a 6 punti nel quoziente di intelligenza, che diventano addirittura 9 nei pazienti ospedalizzati in terapia intensiva.
Che il Sars-Cov2 fosse una brutta bestia lo abbiamo ampiamente e scientificamente riscontrato in questi quattro anni di emergenza pandemica: il Coronavirus compare, scompare, ritorna sotto mentite spoglie poiché uno dei fenomeni più evidenti è dato dalla sua cangianza e dalle mutazioni genetiche, le cosiddette “varianti” che fanno tirare sospiri di sollievo, quando sono intercettate dai vaccini, e poi ritornano a terrorizzare con nuove e diversificate epidemie.
Vaccini e mascherine sono stati utili deterrenti ma la vita comunitaria, di lavoro e scolastica ha reso vani e praticamente nulli i distanziamenti. Chi ha preso sul serio la diffusione planetaria del Covid, il teorema delle varianti, le precauzioni igienico-sanitarie, non faticherà certo a riconoscere per veri i risultati di questa ricerca. Sullo sfondo restano insoluti i problemi dell’eziopatogenesi (ricordo una bonaria ma intensa discussione via whatsapp con Paolo Liguori sulla creazione del virus in laboratorio o la sua insorgenza nel mercato di Wuhan, dove si vedevano tagliare serpenti o vendere come commestibili animali di ogni specie).
L’aveva preconizzata David Quammen nel suo Spillover e gli avevano dato del visionario. E l’aveva rimarcata Edward Osborne Wilson mettendo il dito sulla piaga della sostenibilità ambientale e l’esplosione demografica: la lotta ormai è tra l’uomo (che consuma e devasta) e la natura (che resiste e si ribella). Di fatto, da quando il Coronavirus ha invaso il mondo non siamo più quelli di prima. Ad esempio – ma è un dato empirico che va preso come suggestione – trovo che chi lo ha contratto, ed aveva gravi malattie, ha subìto un’accelerazione verso la morte.
Bisogna ammettere che il Covid ci ha cambiati ed è una spada di Damocle sulla testa dei malati fragili e immunodepressi. Solo questo Governo ha fatto lo gnorri distinguendo tra lavoratori privati e pubblici: ai primi il rinnovo delle tutele, ai secondi un Decreto riparatore mai applicato, ad esempio nella scuola: un ambientino niente male per favorire i contagi. Ma anche questa forse è una manifestazione di nebbia cognitiva. Va dato però atto al Presidente Meloni di aver disdettato il Memorandum della Via della Seta, altrimenti sarebbe stata un’autostrada aperta all’importazione di tutte le varianti virali possibili. Oddio, la globalizzazione ci sovraespone, ma almeno quel transito ora è chiuso.
Se dunque avvertiamo una certa confusione nei nostri pensieri, se perdiamo la memoria dell’ieri, se dormiamo poco e male, se manifestiamo disturbi di comprensione, se confondiamo la destra con la sinistra (la mano, non la politica) possiamo considerarci vittime della nebbia cognitiva, eredità del Covid.
Dicono che duri un paio di anni. Consoliamoci, l’ottusità dei mentecatti può durare tutta la vita. E pare non ci siano vaccini.