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mercoledì, Aprile 16, 2025
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Erosione demografica, fuga dei laureati e merito

Come sosteneva Mao Tse Tung, il pesce impara a nuotare nell’acqua in cui si trova. Questa società premia molto l’apparenza e così anche i meriti hanno a volte breve durata.

Secondo una rilevazione dell’ISTAT nel triennio 2022/2024 circa 500 mila italiani sono emigrati all’estero in cerca di una sistemazione lavorativa o di vita che nel Bel Paese non hanno avuto modo di realizzare. Nel solo 2024 i residenti che si sono trasferiti in un altro Stato (prevalentemente Germania, Spagna e Regno Unito) sono stati 191 mila, in aumento del 20% rispetto all’anno precedente (il valore più elevato finora nel XXI secolo).

Il dato più eclatante riguarda i giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni emigrati dall’Italia, pari a 352 mila nel decennio 2013/2022, un terzo del totale dei connazionali, e di essi il 37,7% (oltre 132 mila) aveva in tasca una laurea al momento della partenza.

Una vera e propria fuga di cervelli (Human capital flight) perché il brain drain prevale sistematicamente sul brain gain: l’espatrio dei laureati non è infatti compensato da un analogo ingresso di giovani con lo stesso titolo di studio (sono stati 45 mila, con una perdita complessiva nel periodo di circa 87 mila laureati, ben 12 mila nel solo 2022).

Questa vera e propria erosione demografica – che si unisce al fenomeno del calo delle nascite – meriterebbe un’analisi sociologica dei dati forniti dall’ISTAT: ciò costituisce un assist per il CENSIS che da circa 60 anni esamina la situazione sociale ed economica dell’Italia.

Tra le cause che danno origine in particolare all’esodo delle giovani generazioni vanno ascritte certamente le opportunità lavorative cercate altrove (in particolare Regno Unito e Germania), la valorizzazione del titolo accademico, le retribuzioni più elevate, la diversificazione occupazionale, il venir meno delle tagliole e delle lungaggini burocratiche: per dirla in breve il riconoscimento del merito come volano della crescita economica.

Eppure da noi non si è mai sentito parlare tanto di merito come in questi tempi.

Ne parlano i politici che rivendicano la “provata capacità” come condizione dell’auspicato cambiamento, pur essendo ben lesti nel garantirsi l’autoinvestitura e nel circondarsi di fedeli portaborse: può darsi che in politica esistano dei parametri speciali e che il valore degli “eletti” sia inversamente proporzionale ai difetti degli elettori.

Se così non fosse non si spiegherebbe come mai, per le assunzioni di una certa responsabilità, i governanti di turno prediligano le nomine per chiamata piuttosto che i vagli concorsuali: il rapporto fiduciario dell’incarico impone forse di esser certi sulla qualità dei servigi che verranno poi resi.

Lo invocano capi e capetti in generale, salvo guardare con diffidenza alle doti e alle virtù dei sottoposti: se uno si monta la testa può infatti alla lunga scalzare il suo benefattore. Lo reclamano in generale un po’ tutti ma con un occhio di riguardo ai propri diritti, se c’è andata bene tocca a noi, se c’è andata male si può sempre far ricorso.

Essere soccombenti proprio non ci aggrada e in ogni aspetto della vita ci riesce difficile fare un passo indietro per cedere il posto. Winston Churchill aveva acutamente osservato che “non c’è nulla di più esilarante che esser presi di mira senza aver successo”. In linea di principio il merito non sempre ripaga il meritevole ma non c’è da rammaricarsi più di tanto perché, come ebbe a scrivere Luigi Pirandello, di solito chi è sopra comanda e chi è sotto si danna.

Come ci ricorda Aristotele la dignità non consiste nel possedere onori e sommessamente aggiungerei neppure nella convinzione di meritarli. Forse le vere virtù sono davvero quelle nascoste. Si confonde sovente il valore con il successo: se i parametri di valutazione sociale premiassero il primo dovremmo vivere in un mondo ben governato.

Molto contano anche i modelli che fanno tendenza nell’immaginario comune: in una recente indagine tra le adolescenti italiane le aspirazioni più gettonate risultano quelle per cantanti e veline. Per parità di genere si può immaginare che molti loro coetanei vorrebbero magari fare i calciatori.

È anche vero – come sosteneva Mao Tse Tung – che il pesce impara a nuotare nell’acqua in cui si trova. Questa società premia molto l’apparenza e così anche i meriti hanno a volte breve durata: ci sono alterne fortune che regolano ascese e cadute. Lungo i tornanti della vita, a volte si è persino costretti a gettare la borraccia della propria dignità. Forse aveva ragione Gesualdo Bufalino: in un mondo di arrivisti buona regola è non partire. Non per l’estero, però.