Se prevale il tatticismo, ogni discorso rimane sospeso a metà. E il tatticismo, a ben vedere, consiste anche nel prefigurare comode scorciatoie, come quando si ipotizza la candidatura di Draghi nel 2023 in funzione di animatore e guida di uno schieramento neocentrista. Piuttosto servirebbe tradurre in una efficace “politica di centro” le scelte – non prive, il più delle volte, di lungimiranza – che Draghi offre al Paese con la sua azione di governo.
Giuseppe Davicino
Mi pare che la reiterata critica di Giorgio Merlo al bipolarismo selvaggio, colga bene tre elementi con cui, volenti o nolenti, si dovrà fare i conti: la disillusione profonda di una buona metà dell’elettorato, le dimensioni incommensurabili della crisi e la necessità che la politica esca dal cantuccio in cui è stata relegata. Se vogliamo evitare che la politica ritorni solo nel tempo in cui non resterà che ricostruire sulle macerie, allora credo che sì dovrebbe prendere molto sul serio la suddetta critica.
Una metà circa dell’elettorato disilluso, perché si è sentito ingannato, rappresenta una mina vagante, passibile di nuove manipolazioni da parte di chi dispone dei mezzi e della cattiva volontà per farlo, ma anche il rischio di un Aventino dai processi elettorali di metà dei cittadini, come peraltro già accaduto alle ultime Comunali. Come si parla a questo elettorato? In modo alternativo sia al populismo che ai progetti che lo hanno alimentato. Vale a dire ripristinando il dibattito, il pluralismo dei punti di vista, le mediazioni e la sintesi della politica. Perché a ben vedere il giudizio su questo bipolarismo che delegittima e distrugge l’avversario, appare, purtroppo, cogliere una caratteristica del clima generale del momento, oserei dire dello spirito del tempo. Dove impera un solo messaggio, una sola verità, una rigidissima selezione delle opinioni ammesse, si parli di guerra, di economia, di energia, di ambiente, di sanità, di tecnologie o di qualunque altro argomento fondamentale per definire il progetto di società.
L’auspicio allora qual è? Che il “centro” sappia interpretare questa enorme esigenza di confronto, di dibattito, di ponderazione, di giudizi non univoci, di mettere in egual risalto i pro e i contro di qualsiasi progetto in relazione alla complessità sistemica.
Anziché coltivare qualche residua speranza di candidare Draghi, le forze che si muovono per rinverdire il senso politico del centro, credo farebbero meglio a cogliere e imitare lo stile di Draghi. Che, ad esempio, gli permette di ricordare con pragmatismo e capacità di visione al Parlamento Europeo le cose da cambiare in Europa, proprio mentre la Germania subisce un duplice condizionamento, dagli anglo-americani che la vogliono più refrattaria alle prospettive di pace in Europa, e nel contempo dalla Bce dalle cui cure ormai dipende come fosse un’Italia qualsiasi. E gli permette nel contempo di osare politiche energetiche “africane” e “matteiane” secondo una precisa idea del ruolo dell’Italia nell’Europa e nel mondo multipolare che verranno dopo la guerra.
Con la stessa attenzione questo centro, come peraltro auspicato dallo stesso Giorgio Merlo relativamente alla sua componente cattolica, dovrebbe guardare al magistero e alla strategia diplomatica di Papa Francesco a partire dall’approccio alla guerra in Europa. Per fare ciò però occorre rompere col conformismo, relativizzare il clima di isteria, di intolleranza, di propaganda che spadroneggia sui media per dedicarsi ai nodi cruciali la cui soluzione non passa dal compiacere a priori chi ci ha spinto sull’orlo del baratro, ma da un paziente lavoro politico senza il quale si va a sbattere.
Manca poco alle elezioni, ma il tempo per qualificare il “centro” come luogo in cui si affrontano i problemi, si disinnescano le tensioni, si fissano le priorità anziché farsele dettare da chi ha più voce, c’è. E l’elettorato che più è sensibile a questo stile di serietà, lo percepisce allorquando ne vede dei segni di vita.