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domenica, Marzo 16, 2025
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Essere donna oggi in Italia

Il quadro complessivo che emerge è davvero inquietante per il tessuto delle donne italiane. Si aggiunga che l’8 marzo di quest’anno si vive in una condizione difficile nel nostro paese.

Abbiamo da tempo al governo una signora che qualche mese fa ha gridato al mondo “sono una donna, sono una madre, sono una cristiana”, suscitando evidentemente qualche attesa. Ora lasciamo stare l’aspetto religioso, e guardiamo a quello esistenziale di donne e madri italiane tra i 30 e i 60 anni. Come se la passano realmente le donne nel nostro paese?

Le più recenti indagini offrono un quadro impressionante e in peggioramento costante. Partiamo dal lavoro che, ove correttamente vissuto, costituisce la principale funzione di integrazione e di emancipazione reale: il 52% delle donne ritiene che il proprio salario non consenta di fare alcun progetto sul futuro, ma solo di sopravvivere. Quasi il 30% dichiara di tirare avanti con il sostegno della propria famiglia di origine e più di una su 5 dice di aver rinunciato a fare un figlio per queste ragioni. Poco meno del 50% dichiara di aver lavorato spesso senza alcun contratto, e poco più di un terzo in condizioni di scarsa sicurezza.

La grande precarietà lavorativa del tessuto femminile determina quasi automaticamente una larga fascia di disagio economico e sociale: solo poco più del 25% delle donne è riuscita a risparmiare qualcosa fra il 2023 e il 2024. Il 57% delle donne incontra serie difficoltà ad arrivare alla fine mese: canone d’affitto, bollette, rata del mutuo, spese mediche per cure urgenti, sono gli ostacoli più diffusi che creano angoscia e disagio nella vita personale e familiare. Quasi il 40% delle donne, per risparmiare qualcosa, ha scelto di pagare in nero molti servizi e prestazioni (medici, riparazioni, baby-sitter, aiuto per le pulizie, ecc..).

Essere mamme ha comportato poi, per ben il 60%,serie rinunce non solo economiche, ma anche nella vita sociale, nelle relazioni e anche nella vita lavorativa.

Riguardo all’inclusione delle donne nella vita pubblica e nelle responsabilità quasi il 50% è contraria alle “quote rosa”, perché ritiene che si debbano piuttosto creare migliori condizioni per tutte, in modo che poi le migliori possano emergere da sole. Infine, come per chiudere ogni possibile spazio di inclusione, più del 20% delle donne dichiara di essere oggetto di frequenti aggressioni e ingiurie sui social e in rete, e di dover ridurre sovente anche questa modalità di partecipazione per evitare un nuovo malessere e un senso di solitudine.

Il quadro complessivo che emerge è davvero inquietante per il tessuto delle donne italiane, dove neanche i notevoli investimenti del Next Generation Youth, ovvero del grande piano di ripresa e resilienza, sembrano aver sortito qualche minimo effetto migliorativo. E questo anche perché l’attuale governo ha eliminato o ridotto tutti progetti di forte impatto sociale nei nidi, nella scuola, nelle strutture sanitarie pubbliche capillari, nella formazione e nell’impiego di nuove risorse umane per questi indispensabili servizi, da attuarsi con l’impiego di strumenti eccezionali per garantirne l’effettività, come il governo Draghi aveva previsto. Ha piuttosto scelto soprattutto i cantieri di opere pubbliche infrastrutturali, certo necessarie ma assai poco, o per nulla, impattanti sulla vita comune di milioni di donne che non hanno certo denaro o tempo per viaggi in treno, né un’auto da guidare liberamente.

Non parliamo poi delle donne migranti che, per l’attuale governo, non hanno alcun diritto in quanto molte di queste sono nella condizione di essere entrate senza avere un invito ufficiale, ma solo per sfuggire ad una prospettiva di fame, di violenza e di sopraffazione. A parere, e con un certo scherno, del governo alcune di queste donne non avrebbero neanche il diritto di ricevere un indennizzo per le sofferenze vissute come effetto delle pulsioni dello stesso governo di respingere qualunque povero diavolo arriva. Quanto disposto dalle sezioni riunite della corte di Cassazione, il nostro massimo livello della giurisdizione, viene negato e oltraggiato senza alcun rispetto, esprimendo al contempo un senso di radicale frustrazione e di vuoto pneumatico di valori e di senso comune. A parere del governo queste donne dovrebbero essere piuttosto rinchiuse nei fallimentari centri di detenzione in Albania o meglio, essere rispedite nelle carceri delle fazioni armate in Libia dove uno dei più efferati leader è appena rientrato con le scuse del nostro governo con un lussuoso volo di stato.Sembra di vivere in una terra senza diritti, senza giustizia, dove uno sceriffo gaglioffo con la corda in mano chiama i cittadini onesti e benpensanti ad assistere all’amministrazione diretta della giustizia. Quella che sottende la grande riforma della magistratura che viene brandita per fare finalmente giustizia.

L’8 marzo di quest’anno si vive in una condizione difficile nel nostro paese. L’esistenza reale delle donne costituisce l’indicatore più evidente di un disagio diffuso. Con un decreto del febbraio 1945 il primo governo politico unitario dell’Italia non ancora del tutto liberata introdusse il suffragio femminile universale, aprendo la strada al radicamento della democrazia e ai nuovi valori iscritti nella Costituzione. Sono trascorsi 80 anni da quella decisione fortemente voluta da De Gasperi. Chi pensa ad un rilancio del cattolicesimo politico dovrebbe partire intensamente e radicalmente da questi problemi, insieme a tutti coloro che condividono il medesimo senso di giustizia e di solidarietà.