Estrapolare dal contesto

Tutto è bene, tutto va bene, tutto va per il meglio possibile

Suggerisco al Presidente Conte di inserire nel prossimo DPCM un comma che imponga agli assidui frequentatori dei social  (e sono tanti) che si esprimono sulla pandemia, la vita e la morte, le età , i vaccini , i conflitti generazionali, le selezioni naturali o eugenetiche ed altre tematiche ricorrenti, il divieto di estrapolare frasi dal contesto o di farvi ricorso per emendare precedenti affermazioni  postate sui propri profili.

Di tutti i passatempi favoriti dalle nuove tecnologie che permettono di entrare in rete on line, le più dannose o comunque suscettibili di esternazioni non precedute dalla più antica profilassi della storia – “la sana riflessione” – partecipare alle risse mediatiche con affermazioni non suffragate dal buon senso comune e dal rispetto per gli altri è forse l’espressione più aggiornata della stupidità umana.

Le esternazioni gratuite non stimolano dibattiti culturalmente utili, non sollevano lo spirito, non dimostrano teorie sorrette dall’uso del pensiero critico.

Il fenomeno è ricorrente e studiato da psicologi, sociologi, analisti ed è trasversale ad ogni target sociale.

Stupisce quando il vezzo è usato con intensità dagli esponenti politici i quali anziché occuparsi del bene comune e dimostrare agli elettori e ai cittadini l’utilità del loro incarico, evitano il dialogo e il confronto e si lasciano andare a monologhi o esternazioni che alimentano il montante livore sociale.

Della sostenibilità generazione se ne occupa – nostro malgrado – la Storia che dimostra che ogni età della vita esprime un valore e una ricchezza: non esiste un target sociale prima o dopo del quale si è incapaci o si diventa inutili. Ci sono fior di Ricerche del Censis, dell’Istat, delle Università che analizzano queste tematiche che sono parte integrante del panta rei dell’esistenza umana. Si tratta di studi di esperti che offrono al lettore opportunità conoscitive, statistiche eloquenti, interpretazioni scientifiche.

Purtroppo gli stessi Rapporti (che andrebbero letti ed imparati nelle scuole superiori anche avvalendosi della DAD) dimostrano che da quando imperversano, i social anziché essere strumenti di crescita e di apprendimenti, di pacati scambi di opinioni,  finiscono per essere armi di offesa che travalicano alcuni pilastri su cui si basa il corretto vivere civile: il rispetto per gli altri, un linguaggio non scurrile e offensivo, l’interlocuzione come metodo di crescita culturale e sociale. Questi social che diventano “dissocial” (e ciò non dipende dalla tecnologia in se’ ma dall’uso che se ne fa) stanno radicando alcuni tratti negativi della società del nostro tempo: la cattiveria, l’invidia, la delazione, l’offesa personale, il rancore, la pochezza delle argomentazioni che circolano in rete.

Esternare e poi correggere, attribuendo magari ad altri l’incomprensione del proprio pensiero, spiega il ricorso alle giustificazioni tardive, alla estrapolazione di una frase dal contesto.

Verbalmente credo sia sempre accaduto, ora il web alimenta ed enfatizza questa pratica di pentimento postumo. La cosa ovviamente non riguarda solo la politica ma la società nel suo complesso, come una sorta di abitudine dilagante che dimostra che la seconda non è migliore della prima. Per questo è inutile dare a certe affermazioni un effetto amplificatore o replicare: siamo tutti attori e comparse sotto lo stesso cielo.

Sarebbe tuttavia utile cominciare a parlarne in famiglia e a scuola. Per insegnare l’umana comprensione.

Ma quando il dileggio e l’offesa arrivano ad augurare premorienze o selezioni naturali si valica un limite che non prevede ritorni. La vita oggi ci insegna purtroppo che ci sono persone che godono più della sofferenza altrui che del proprio personale benessere.

Vorrei poter dire con Voltaire… “Tutto è bene, tutto va bene, tutto va per il meglio possibile”: ma De Gaulle sosterrebbe che si tratta di un “programma troppo vasto”.

Però siamo ‘tutti’  in tempo a correggerci, basterebbe applicare il suggerimento del Prof. Vittorino Andreoli: “fare più uso del cervello che abbiamo in testa che di quello che portiamo in tasca”.