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domenica, 3 Agosto, 2025
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Europa-Usa, Follini parla di capitolazione dei popolari: dunque, che fare?

L’accordo sui dazi firmato da Von der Leyen - con la copertura di Merz - segna il declino dei popolari europei. Non c’è più, neppure residualmente, la cultura europeista democristiana. Serve una rifondazione, non una complice nostalgia.

La firma di Ursula von der Leyen sotto l’accordo commerciale con gli Stati Uniti non è l’esito malinconico di una trattativa difficile, bensì l’atto finale di una resa ingloriosa. Lo scrive senza mezze misure Marco Follini sulla Stampa dell’altro ieri, dando già nel titolo dell’articolo – “La capitolazione dei popolari” – il senso di un’analisi stringente e severa. Si chiude una fase, carica di equivoci, che ha visto per lungo tempo la Cdu di Kohl e Merkel esercitare sui “moderati” della Seconda Repubbluca – tutti schierati a destra – il fascino della continuità di una bella vicenda politica e garantire una comoda copertura al connubio con il berlusconismo.

Una certa ragione, non condivisa dai popolari usciti a testa alta dalla battaglia contro Buttiglione, pareva pallidamente resistere. Dissolta la Dc, in Italia non rimaneva che aggrapparsi, come che sia, all’esperienza dei democristiani tedeschi e a quella, pur controversa, del Partito popolare europeo. L’europeismo era l’orgoglio – questa la tesi – di una  storia mantenuta in piedi dagli eredi di Adenauer. “E invece è toccato principalmente a loro, Vdl e Merz, ultimi democristiani muniti di un briciolo di autorità, l’assai dubbio onore di mettere soprattutto la loro firma sotto la capitolazione dell’accordo sui dazi”.

Il pensiero di Follini è lucido, ma sfiora la rassegnazione

L’articolo di Follini è un atto di accusa amaro, ma non infondato. E tuttavia lascia trapelare, forse involontariamente, un senso di impotenza che si nutre di fatalismo. I “democristiani residui”, di cui lui stesso si riconosce parte, sembrano ormai destinati solo alla malinconia, al ricordo del “cappotto di De Gasperi”, ovvero a quel decoro che circondò il viaggio in America dell’allora Presidente del Consiglio.

Eppure, proprio da qui bisogna ripartire, dal decoro e dall’orgoglio. Perché se il Ppe ha smarrito la sua rotta – come denuncia anche Vitaliano Gemelli nel suo intervento del 23 luglio scorso sul Domani d’Italia, con il titolo inequivocabile “L’Europa ha bisogno di un PPE restituito alle sue origini Dc” – allora è venuto il momento di fare il punto, senza più rimandare.

Il tempo di una nuova “Camaldoli europea”

Due anni fa, il cardinale Matteo Zuppi lanciava l’idea di una “nuova Camaldoli europea”. Un appello accolto con favore e distrazione, che ha continuato a maturare in ambienti diversi, con sensibilità e accenti non sempre omogenei, ma convergenti su un punto: senza una nuova classe dirigente, radicata nell’umanesimo d’ispirazione cristiana, l’Europa è destinata a perdere sé stessa.

Lo scenario globale, segnato da tensioni geopolitiche e da populismi aggressivi, richiede una risposta culturale e politica, non tecnocratica. E il Ppe, nella sua attuale forma, non è più il contenitore adeguato per rilanciare l’europeismo di Adenauer, Schuman e De Gasperi. Né quello, per stare al più recente passato, di Kohl e Angela Merkel.

È tempo di seminare

Si tratta allora di raccogliere la sfida di una ricostruzione. È un’occasione per rimettersi in gioco, senza presunzione ma con fervore. Bisogna guardare lontano, con l’ambizione di seminare oggi ciò che domani potrà fiorire. Il “cappotto di De Gasperi” non è solo un’icona da rimpiangere, piuttosto è un’eredità da riscattare.

D’altronde la dura realtà lo impone, visto la débâcle sui dazi. “Non s’è visto all’opera – spiega ancora Follini – lo spirito conciliante dei democristiani d’una volta. Piuttosto una rassegnazione inedita che costringe anche noi, ultimissimi democristiani, a chiederci se non era il caso di battersi con uno spirito meno irenico di quello messo in mostra al cospetto del presidente americano tra un tiro e l’altro della sua possente mazza da golf”. 

Ora, chiunque si ritrovi concettualmente in questa categoria di “ultimissimi democristiani”, non ha il dovere di guardare a un nuovo orizzonte politico?

P.S. Due segnalazioni. Il dibattito politico in corso sull’europeismo di tradizione cattolico-democristiana vede particolarmente impegnati gli amici dei “liberi e forti” (Alef) di Ettore Bonalberti. Su un piano diverso, con approfondimenti di grande rilievo culturale, avanza la riflessione di un qualificato gruppo di lavoro – Gruppo Europa Domani – che vede tra i principali protagonisti   Enzo Scotti, Luigi Paganetto, Mons. Vincenzo Paglia, Sergio Fabbrini.