Abbiamo aspettato a lungo e abbiamo constato che la legge sul suicidio assistito non è arrivata in tempo. Aspettiamo e vediamo come andrà con quella sull’eutanasia Come ha scritto Giovanni Bianconi sul Corriere, l’imperdonabile ritardo è la certificazione dell’incapacità delle Camere di “assumersi quella responsabilità che la Corte costituzionale ha sollecitato un anno fa”. La Corte ha dunque giudicato come aveva promesso l’anno scorso. L’articolo 580 del codice penale, istigazione al suicidio, applicato al caso di Dj Fabo, assistito da Marco Cappato nella sua ultima volontà di farla finita, è incostituzionale. Su questo tema si apre quindi un capitolo nuovo e diverso.

Il silenzio del Parlamento, interrotto da pallide geremiadi che nessuno ha ascoltato, fanno pensare, fanno temere però che sulla stessa più grande questione della “fine vita” (che chiamano “il” fine vita, come fanno parlando “del” weekend) non vi siano in campo idee e proposte se non quelle radicali di chi tira dritto verso la legalizzazione dell’eutanasia.
Gli altri, impietriti, trascorso un anno nell’illusione che qualcosa si muovesse, si erano aggrappati a un’ultima speranza e, colta l’occasione della replica di Giuseppe Conte nel dibattito sulla fiducia al suo secondo governo, gli avevano chiesto di fare lui qualcosa. Il presidente, come in primavera a Parigi Macron, aveva obiettato: non sono io, ma voi gli unici a poter affrontare questo problema. Allora gli stessi senatori chiedevano alla presidente del Senato, Elisabetta Casellati, di garantire la Corte che un prossimo, anche se assai tardivo intervento parlamentare su questo tema avrebbe potuto risparmiare la sentenza. I proponenti, insomma, avevano chiesto al loro presidente di fare la classica telefonata che allunga la vita, senza ottenere nulla.

Certo, l’inoperoso silenzio delle Camere non è dipeso soltanto da una maggioranza parlamentare favorevole all’eutanasia e che dunque considerava tatticamente la scontata sentenza della corte un passo in avanti in questa direzione. Sull’inerzia del Parlamento hanno contato anche l’assenza di idee e di proposte degli ambienti contrari.
L’ex presidente della Consulta Cesare Mirabelli ha osservato che “in ogni argomento che riguarda la vita e la morte si manifestano convinzioni e sensibilità diverse. Tuttavia dovrebbe essere comune a tutti l’impegno ad una concreta espressione di solidarietà nei confronti della persona sofferente.”

Questo è già di per sé un programma che dovrebbe essere condiviso dalle diverse parti, ma proprio l’offerta di concreta solidarietà ai sofferenti è mancata nel dibattito, non vastissimo e purtroppo di non grande qualità, sulla “fine vita”.
Circa la qualità, notiamo che da parte “cattolica” si è partiti, ed anche arrivati, avendo come base la proposta di legge Pagano-Turri sul suicidio assistito. Gli autori sono parlamentari della Lega. Il primo dei due ha coraggiosamente abbandonato Berlusconi e Forza Italia all’indomani dell’exploit elettorale di Salvini. L’altro firmatario, leghista sperimentato, insieme alla proposta sul suicidio assistito con il suo collega Pagano ha anche sottoscritto quello dell’altro leghista Bitonci per la riapertura delle “case chiuse”.
Le non frequenti riunioni indette sul tema dalla Cei, la Conferenza episcopale del cardinal Bassetti, non sono riuscite ad elevare il livello di quel dibattito. Gli intervenuti erano perlopiù seconde o terze file di partiti e movimenti di destra: a quei raduni non si sono visti né Salvini, il quale pure avrebbe potuto esibire in luogo appropriato i suoi oggetti di culto, né Berlusconi, né Giorgia Meloni.

Meno ancora presenti quelli di sinistra, non c’era Renzi, non c’era Dario Franceschini soltanto per citare leader “cattolici” di quel ramo. Cosa troppo delicata e impopolare esprimersi su questo tema. Per questo capi e dirigenti di prima fascia, quelli che soli contano ormai nelle decisioni parlamentari, non hanno lambito la porpora di Bassetti. Ancor più visibile l’assenza a queste discussioni di quegli intellettuali, devoti non atei e atei devoti, studiosi del cristianesimo come filosofia e prassi, ammiratori di un pontificato che c’era e avversari di quello che c’è.

Il papa ha più volte dichiarato che “non esiste un diritto a disporre arbitrariamente della propria vita”. Il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti non ha dubbi. Per lui “va negato che esista un diritto a darsi la morte.” Posizioni che avrebbero dovuto aprire un dibattito nel paese, obbligare a iniziative di chiarimento e di confronto con l’opinione pubblica gli organismi ecclesiastici che se ne dovrebbero occupare: la commissione della Cei “per la famiglia, i giovani e la vita”, che ha tra le sue competenze la “difesa e promozione della vita” e la Pontificia Accademia per la vita, fondata da Giovanni Paolo II e di recente rifondata da papa Francesco.

Se quel silenzio non l’hanno rotto loro, se queste autorità ecclesiastiche non sono fin qui riuscite a individuare e metter all’opera intelligenze ed energie in grado di parlare con i sostenitori della via più diritta, l’eutanasia, ci si può chiedere perché mai avrebbero potuto farlo parlamentari sconosciuti?
Molti, in quello che si chiamò il mondo cattolico, si sarebbero accontentati di una “brutta legge”, convinti che questa soluzione sarebbe stata meglio di una sentenza della Corte costituzionale. Ottimisti costoro, a una brutta legge potrà sempre seguire una pessima legge.