Articolo pubblicato sull’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma di Charles de Pechpeyrou

Sulle 7.100 lingue parlate nel nostro pianeta, oltre 3.700 — comprese le lingue dei segni — non hanno alcuna traduzione delle Sacre Scritture. Eppure, «abbracciare la diversità linguistica» può favorire «un arricchimento e un approfondimento della nostra comprensione della Parola di Dio, incarnandola nelle varie culture». Ne è convinto il teologo Alexander Markus Schweitzer, che ha esposto le sue opinioni sulle sfide legate alle traduzioni bibliche in un’intervista diffusa dal sito del Consiglio ecumenico delle Chiese in occasione della recente Giornata internazionale della traduzione, istituita dall’Onu nella ricorrenza di san Gerolamo, al quale si deve la Vulgata in latino. Schweitzer nel 2008 era stato nominato da Benedetto XVI esperto per il Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, la cui importanza nella vita e nella missione della Chiesa è stata ribadita dai Pontefici, in particolare dopo il concilio Vaticano II e la pubblicazione della Costituzione dogmatica Dei Verbum. La rilevanza della lettura delle Sacre Scritture nella vita quotidiana dei fedeli, come è noto, è stata ultimamente sottolineata anche da Papa Francesco, che ha istituito la Domenica della Parola di Dio con la lettera apostolica in forma di motu proprio Aperuit illis pubblicata il 30 settembre. Finora, indica Schweitzer, l’intera Bibbia è stata tradotta in 700 lingue, ci sono oltre 1.100 traduzioni di parti di essa, come ad esempio i Vangeli, i Salmi e alcuni altri testi, mentre oltre 1.500 lingue hanno traduzioni del Nuovo Testamento.

Fortunatamente, «nonostante il fatto che una traduzione dell’intera Bibbia o del Nuovo Testamento richieda diversi anni, ci sono centinaia di lingue che ricevono una prima traduzione ogni anno», rileva il teologo tedesco, che è anche direttore esecutivo del Bible Ministry e direttore della Global Bible Translation presso la rete internazionale United Bible Societies. Tra le traduzioni realizzate lo scorso anno dell’intera Bibbia figurano lingue come il lusamia-lugwe (Uganda-Kenya, 650.000 parlanti), il kalanga (Botswana, 142.000), il rote (Indonesia, 30.000), il malto (India, 51.000). Il Nuovo Testamento è stato tradotto in northern waray (Filippine, 632.000), blin (Eritrea, 112.000), korku (India, 550.000), lemi (Myanmar, 12.000).

Nel corso del 2018, le Società bibliche del mondo intero hanno contribuito al completamento delle traduzioni in 66 lingue utilizzate da 440 milioni di persone. Occorre tuttavia molto tempo per pubblicare le Sacre Scritture in nuove lingue. «La traduzione della Bibbia affronta sfide su più livelli», afferma Schweitzer. Dal punto di vista culturale, i testi biblici riflettono culture specifiche del Vicino oriente antico, e «poiché le realtà culturali spesso non si traducono facilmente in altre culture, i traduttori affrontano una sfida costante, provando a preservare i caratteri distintivi culturali semitici che fanno parte del messaggio biblico, e allo stesso tempo a trasmettere concetti che abbiano senso per la cultura del recettore».

Inoltre, dal punto di vista linguistico la Bibbia «presenta molti generi letterari diversi e molte lingue non hanno letteratura in alcuni generi letterari che sono contenuti nella Bibbia». Una seconda sfida linguistica ha a che fare con il vocabolario teologico. «Termini chiave come redenzione, perdono, colpa, levirato, non esistono in molte lingue», ricorda il teologo tedesco. «Come tradurli quando non esiste un equivalente letterario o teologico?».

Altra sfida, le tradizioni e le teologie delle Chiese, che esercitano un’influenza notevole sul processo di traduzione. «Questo fenomeno diventa evidente quando una traduzione è stata effettuata in una lingua in passato e una teologia si è sviluppata a partire da questa traduzione», spiega il biblista. Spesso, «la traduzione precedente è ritenuta come un “pseudo-originale”, il che complica decisamente i cambiamenti di approccio per una nuova traduzione». Infine, bisogna tener conto delle difficoltà amministrative, che comprendono la questione dei finanziamenti e in particolare «la necessità di riunire la domanda, i desideri, i bisogni locali, così come le idee e i desideri dei donatori». Un’immersione nelle realtà locali, suggerisce Schweitzer, permetterà a questi ultimi — che spesso arrivano con la mentalità del Vecchio mondo — di capire meglio la complessità delle traduzioni della Bibbia e le peculiarità di ogni situazione