Da dove viene la convinzione che il vino possa essere usato come farmaco? Storia, leggende e controversie, da Ippocrate ai giorni nostri.
Alessandra Biondi Bardolini
La fascinazione per le bevande alcoliche, quelle fermentate e solo in tempi più recenti quelle distillate, accompagna le civiltà, antiche e moderne, da millenni. Il vino nei paesi Mediterranei e la birra in quelli del Nord Europa hanno radici culturali e antropologiche così profonde che spesso i risultati della ricerca sui rischi per la salute legati al consumo di alcol, e le conseguenti politiche di informazione e tutela della sanità pubblica, sono avvertiti come un attacco all’identità e alle tradizioni nazionali.
La storia del vino (ma un parallelo si potrebbe fare per altre bevande fermentate provenienti da molti paesi, non solo occidentali) si offre a una lettura stratificata. Il frutto della vite nel corso della storia è bevanda sacra che accompagna i riti (in alcuni dei quali è contemplata l’ebbrezza), legante delle relazioni sociali, piacere in grado di generare emozioni, ma anche alimento calorico e fortificante. Non ultimo, medicina. Uno dei motivi per cui non solo gli addetti ai lavori ma anche le persone comuni, consumatori e non, oppongono resistenza ad accettare il fatto che il consumo di alcolici comporti dei rischi, infatti, è che per millenni (e fino a tempi tanto recenti da poterne ancora conservare la memoria nelle generazioni più anziane), esso è entrato non solo nelle carte dei vini, ma anche nelle ricette e nelle prescrizioni degli speziali e dei medici di famiglia, per i quali il rapporto di fiducia era totale e incondizionato.
Anziché trovare il suo giusto spazio in un ruolo edonistico ed emozionale di piacere per il palato e per il naso e confermarsi come elemento fortissimo di identità culturale e territoriale quale è, ancora oggi il consumo di vino cerca così talvolta nella medicina il ruolo superato che ha avuto nel passato. Un radicatissimo bias di conferma: dopotutto si dice che lo dica “anche il dottore”, e i proverbi e rimedi popolari confermano: “vino rosso fa buon sangue”.
La più igienica di tutte le bevande
I primi a inserire il vino e la birra nella preparazione dei loro medicamenti sono i Sumeri, seguiti dai Babilonesi e gli Egiziani, ma il loro utilizzo come rimedio per ferite e malattie non è un’esclusiva delle civiltà occidentali ed è conosciuto anche nell’antica Cina e nella medicina vedica in India. È in Grecia e successivamente nell’antica Roma che la salute cessa di dipendere soltanto dalla benevolenza degli dei e che il vino entra nella farmacopea occidentale, dove per secoli mantiene la sua posizione. Gli artefici sono i padri della medicina, Ippocrate (nato intorno al 460 a.C. nell’isola di Coo e autore -reale o presunto – di un Corpus di quasi 70 opere) e, cinque secoli dopo, Galeno da Pergamo (circa 130 d.C. – 200 d.C.). È quest’ultimo, la cui carriera lo porta da medico dei gladiatori a curante dell’Imperatore, che codifica “scientificamente” un intero apparato nel quale tutti i vini conosciuti sono classificati e descritti per le loro caratteristiche e per i loro effetti.
Per Galeno, che riprende la teoria degli umori di Ippocrate, il vino è in grado di opporsi alla corruzione degli umori restituendo l’armonia e di intervenire nella formazione del sangue. I vini leggeri hanno azioni e proprietà specifiche diverse da quelli dolci e densi e di conseguenza ognuno, descritto per le sue caratteristiche e la sua provenienza, trova applicazioni e prescrizioni anch’esse diverse. I testi di Galeno basati su teorie e fondamenti anatomici e fisiologici che oggi sappiamo errati, continuano a essere tradotti e tramandati per secoli e le sue teorie e rimedi assumono nella medicina occidentale un carattere quasi dogmatico fino e oltre il 1500.
Con dei distinguo per le diverse categorie di persone e per i vini di diversa provenienza, gli antichi attribuiscono al vino proprietà antisettiche, sedative, ipnotiche, anestetiche, tonificanti, antianemiche, digestive, purificanti, diuretiche, antidiarroiche, fortificanti e rinvigorenti (azione fondamentale quest’ultima, particolarmente raccomandata per bambini, convalescenti, anziani ed eroi). Le ragioni di alcune di queste applicazioni sono legate agli effetti psicotropici dell’alcol, ma anche al fatto che esso rappresenta una delle poche sostanze allora disponibili ad azione disinfettante e antibatterica, sfruttata negli unguenti per la medicazione delle ferite e nell’acqua come prevenzione degli inquinamenti da possibili patogeni.
L’uso igienico e la raccomandazione di bere alcolici puri o diluiti anziché acqua, rappresenta del resto in molti paesi e fino a secoli molto più recenti un’azione frequente per la prevenzione della diffusione delle epidemie da fonti inquinate. È a questo soprattutto che si riferiva Louis Pasteur, padre della microbiologia, quando definiva il vino “la più igienica di tutte le bevande”, coniando uno dei motti di maggior successo per l’intero settore.
Oltre alle proprietà curative o preventive che si attribuiscono al vino di per sé, esso veniva poi utilizzato come solvente per la preparazione dei medicamenti, essendo l’alcol in grado di estrarre le sostanze attive come ad esempio gli alcaloidi o gli antiossidanti dalle piante officinali. E se in alcuni casi come nell’uso della corteccia del salice, le proprietà dei principi hanno continuato ad avere un fondamento nelle scienze erboristiche e nella chimica farmaceutica più moderna, in altri non ce l’hanno affatto, come per la Teriaca, un miscuglio dalle molteplici proprietà, antidoto a tutti i veleni attribuito al Re Mitridate e contenente un enorme numero di ingredienti compresa la carne di vipera, che Galeno consigliava di accompagnare al miglior Falerno faustiniano.
I vini medicali sono ancora presenti nella Farmacopea Ufficiale del Regno d’Italia del 1892, la maggior parte sono a base di Marsala e tra essi troviamo anche un “Vino oppiato composto”. Gradualmente nei decenni successivi la medicina ufficiale abbandonerà il ricorso al vino e ai vini medicali come rimedio per questa o quella malattia, pur continuando ancora a lungo a sostenere le proprietà benefiche del consumo di vino nell’alimentazione. Usciti dalle farmacie questi prodotti restano però sulle nostre tavole, poiché si scopre che alcuni sono soprattutto molto buoni, così che la loro natura di elisir, liquori di erbe, vini chinati, vermouth, si trasforma nel tempo in altrettante bevande alcoliche tipiche.
Tra moderazione ed ebbrezza
Già ai tempi dei Greci e dei Romani il consumo di alcolici è controverso; il vino e la sua ebbrezza attraversano periodi di maggiore o minore permissivismo e se è vero come abbiamo detto che al vino si attribuiscono tutta una serie di proprietà curative e che dopo la fondazione di Roma nel periodo dei Re l’alcol non è ben visto, l’ubriachezza è invece contemplata (anche abbondantemente) all’interno dei riti e delle occasioni conviviali.
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Alessandra Biondi Bartolini livornese, è agronoma, blogger, giornalista e divulgatrice scientifica. Si occupa prevalentemente di ricerca applicata e di innovazione nel settore viticolo ed enologico e collabora con le principali riviste tecniche del settore.