Due volumi della Ares raccontano storie di solidarietà nel Secondo Conflitto Mondiale e svelano le poesie di importanti protagonisti della letteratura del Novecento nate nel fango delle trincee della Grande Guerra.
Francesco Anfossi
Due volumi delle Edizioni Ares da pochi giorni in libreria ci introducono da due angolazioni diverse e originali nel tema della guerra. Il primo è opera di Antonio Besana e si intitola “Vite incrociate”. Narra degli atti di pietà per il nemico che si verificarono nella Seconda Guerra Mondiale. Poiché, come recita l’esergo di Richard D. Winters, «la guerra tira fuori il peggio e il meglio delle persone. Le guerre non rendono grandi gli uomini, ma fanno emergere la grandezza negli uomini buoni». La conferma di questa legge universale ci viene da quello che sta avvenendo in Ucraina: a quanti atti di coraggioso altruismo e abnegazione stiamo assistendo da parte di militari e civili? Molte delle storie narrate nel volume di Besana hanno come protagonisti militari dell’aeronautica, forse perché i piloti hanno conservato il comportamento dei cavalieri del cielo nei “dogfight” della Prima guerra mondiale, che a loro volta riprendevano l’antico codice dei duelli cavallereschi delle epoche precedenti, quasi che gli ultimi protagonisti della guerra “en forme” – i Von Richtofen, i Baracca – si fossero rifugiati tra le nuvole.
Cosa faccia scattare nell’uomo, in contesti così brutali, la parte più elevata di sé stesso, trasformandolo da demone in angelo, rimane per molti aspetti un mistero. Una risposta, spiega l’autore, «la suggerisce il grande scrittore russo Vasilij Grossman in “Vita e Destino”, quando dice che l’uomo assapora la gioia della libertà e della bontà quando riconosce negli altri ciò che ha già colto dentro di sé».
Ma nel gorgo della guerra non abita solo la pietà. Anche la poesia riesce a sfidare l’orrore dei conflitti, ispirando i fanti sepolti nel fango delle trincee. “War Poets”, a cura di Paola Tonussi, racconta delle molte voci che nell’inferno della Grande Guerra hanno scritto versi immortali, pur nella consapevolezza, per dirla coi celeberrimi versi dell’aedo-fante Ungaretti, di stare «come sugli alberi le foglie» – e chi scrive ancora si ricorda il grande dilemma illustrato dalla professoressa del liceo su dove far cadere la pausa: dopo lo “sta” o dopo il “come”?. Questi poeti con l’elmetto e la maschera antigas a tracolla, la baionetta poggiata sul muro di terra, «hanno trovato il tempo e la forza di mettere sulla carta immagini, visioni e pensieri, di raccontare il coraggio, la rabbia e la disperazione: spesso urla in forma di poesia, repositori di compassione o di cocente ironia, domande senza risposte, implorazioni di non dimenticare». Un libro superbo, quello della Tonussi, studiosa di letteratura anglosassone, che ci svela questa gigantesca rassegna di “fleurs du mal” sbocciati in mezzo alle “tempeste d’acciaio” sul fronte, un fronte abitato da grandi della letteratura del Novecento, da Thomas Hardy a Robert Graves. Un gigantesco inno in versi per la gioventù condannata a morte da chi voleva vedere, come Cadorna, superare i reticolati salendo su “materassi di cadaveri”.
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