L’uscita polemica di Prodi sul profilo inconcludente dell’opposizione rimanda all’eclisse della cultura cristiano progressista. Nel momento in cui al Pd è venuta a mancare la riserva critica di questa componente, il riformismo ha perso l’ancoraggio al “modello di progresso” – quello dei governi di centro e di centro-sinistra – dei primi cinquant’anni di Repubblica. Ora c’è un vuoto che nessun artificio della politica spettacolo riesce a colmare: se la memoria è distaccata da un dato di esperienza, tutto diventa precario e incomprensibile. Anche l’europeismo dissociato dalla storia si consuma nel gioco degli interessi e delle opportunità.
Destra forte, sinistra velleitaria
In effetti, dopo aver predicato l’uscita dal Novecento, oggi se ne rimpiange l’esito più maturo, quelo dell’espansione della democrazia e dei diritti individuali, nonché della sapiente articolazione del welfare state. Nel vuoto la Destra è cresciuta senza far rumore, scavando nella psicologia di massa per sfruttare, in ultima istanza, l’avversione dei ceti popolari all’individualismo dei bisogni post-materiali, con tanto di deriva woke. Siamo arrivati a Trump per l’introflessione dell’Occidente in un radicalismo di massa foriero di lacerazioni sociali e culturali.
L’alternativa è cambiare gioco
L’allarme di Prodi fa leva sulla mancanza di un’alternativa all’altezza della sfida con la destra. Questo significa, per estensione logica, che la leadership della Schlein non genera fiducia, anzi incrocia la muta resistenza di un elettorato che in gran parte si rifugia nell’astensionismo. Questo è il nodo. Da qui la difficoltà e l’insofferenza come spie di un sentimento che registra lo stallo dell’iniziativa (monocorde) dell’opposizione, incapace di trasmettere un messaggio di inclusività malgrado l’orpello del “testardamente unitari” che segna la retorica della giovane segretaria del Pd.
Di fatto l’unità si pensa e si prospetta in funzione della cosmografia dell’universo di sinistra, essendo tutto il resto un pulviscolo satellitare identificativo di un centro senza qualità, di cui pure si auspica un consolidamento quale che sia. Come negare l’angustia di questo approccio, anzi la sua intima presunzione? È la riproposizione dell’errore che portò alla sconfitta quell’Alleanza dei Progressisti che nel 1994, con Occhetto, sembrava destinata a sicuro trionfo.
Perché il centro?
Lo sviluppo della critica di Prodi va oltre le intenzioni e gli auspici dello stesso Prodi. In realtà, solo la dissociazione dalla politica del Pd può aprire la strada al coinvolgimento di un larga fetta di pubblica opinione per la quale l’alternativa alla Meloni non può identificarsi nel Campo largo della Schlein. Il dato politico più trascurato riguarda il logoramento del bipolarismo e l’incoerenza delle coalizioni che lo animano. Quando si parla del centro, e se ne parla a proposito e a sproposito, si tocca un punto sensibile del confronto democratico: tutta la sua potenzialità, benché compressa, sta nel recupero di una forza d’indirizzo e mediazione, con programmi chiari, che potrebbe definirsi liberal-popolare. Ad essa non può mancare – ormai è chiaro – l’apporto della cultura “democratica e cristiana”, sapendo che le formule in grado di esplicitarne una funzione politica rinnovata esigono l’impegno e l’esempio dei migliori, per legare insieme progetto e classe dirigente.

