In relazione alla storia del mondo gli anni del pontificato di Francesco hanno finito per coincidere con un tempo turbolento, il tempo in cui, in alcuni fra i potenti della terra sembra esser tornata la tentazione di ri- affidarsi alla guerra per dirimere le controversie.
All’inizio del suo magistero papa Bergoglio coniò l’estressione “terza guerra mondiale a pezzi” per designare lo stato di degrado che avevano assunto le relazioni internazionali in alcune cruciali aree del mondo.
Il primo anno del suo pontificato, il 2013, avrebbe potuto, e dovuto, essere l’anno delle grandi decisioni, per assicurare un futuro di pace in Medio Oriente, Ucraina e negli altri Paesi del Sud del Mondo, sconvolti da conflitti.
L’Occidente.(in particolare nelle sue componenti globalista, neocons, dei grandi poteri finanziari) scelse la via del confronto muscolare. Seguì l’anno successivo la destabilizzazione dell’Ucraina, per la quale, per stessa ammissione di Victoria Nuland, la diplomatica americana neoconservatrice che ha coordinato la sovversione a Maidan per cancellare la neutralità dell’Ucraina, furono investiti circa 5 miliardi di Dollari. Il 25 novembre 2013 il presidente russo Putin andò in udienza da papa Francesco per comunicargli che cosa sarebbe successo se l’Occidente fosse andato avanti con la prova di forza verso la Russia, archiviando una già avviata collaborazione che aveva portato ad allargare il G7 alla Russia ed a iniziare ad integrarla addirittura nella Nato, attraverso il Partenariato per la Pace.
E che cosa finirà per succedere alla fine di queste scelte sbagliate, compresa ovviamente la gravissima decisione della Russia di invadere l’Ucraina, non lo sappiamo ancora del tutto, stante la volontà anglo-francese di proseguire il conflitto, con o senza gli Stati Uniti e consentendo un pericoloso riarmo della Germania, e stante la determinazione della Russia nel considerare la guerra in Ucraina come un conflitto da cui dipende non solo la sua sicurezza ma la sua stessa sopravvivenza come stato unitario.
In un tale contesto i dodici anni di pontificato di papa Francesco si sono caratterizzati soprattutto in due direzioni, quella diplomatica e quella pastorale-umanitaria. Nell’ultimo dodicennio, periodo in cui covavano i germi di conflitti peggiori, l’azione della Santa Sede si è caratterizzata nella condanna del ritorno al ricorso della guerra, fatta in ogni forma e in ogni sede, respingendo narrative funzionali allo scontro bellico. Una fra le ultime testimonianze di questo impegno è stata la lettera che papa Francesco ha scritto al direttore del Corriere della Sera, pubblicata lo scorso 18 marzo, nella quale ribadiva che «Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra. C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità». In assenza di ciò saranno innanzitutto le nostre parole a inchiodarci a prospettive infauste, come purtroppo sembra stia avvenendo, se si osserva il tenore di certi editoriali o di certe dichiarazioni, anche fra i massimi responsabili delle istituzioni comunitarie.
La seconda direttrice, che ha accompagnato l’incessante appello di papa Bergoglio a non cadere nell’inganno della guerra, che non risolve i problemi ma ne crea di più grandi, è stata quella umanitaria, intesa non solo ad alleviare le conseguenze dei conflitti armati ma a camminare insieme agli uomini e alle donne del nostro tempo mentre affrontano quelle prove che loro stessi hanno originato a causa della perseveranza in logiche di potenza e di violenza che si riteneva fossero d’altri tempi.
Sebbene il pontificato di Francesco rischi, dal punto di vista della politica internazionale, di passare alla storia come quello che poco ha potuto nel dissuadere i capi delle nazioni europee a preparare una nuova guerra fratricida fra l’Est e l’Ovest, limitandosi ad assistere spiritualmente i popoli europei mentre vanno incontro alle conseguenze dei propri reiterati errori, nel contempo è già affidata alla storia la lungimiranza delle sue parole, molto citate, assai meno ascoltate e praticate.